Dottor computer

Medici di base e informatizzazione: un rapporto complesso. A più di due anni dal protocollo d’intesa tra Stato e Regioni per l’attuazione del piano nazionale e.Government – che prevedeva l’informatizzazione del processo prescrittivo entro un anno e la completa trasformazione della sanità in senso digitale entro la fine del 2012 – la situazione è ancora oscura. E, soprattutto, non condivisa da tutto il mondo medico. Quello che si delinea è uno scenario in cui a ogni mutuato la terapia non sarà più prescritta dal medico di famiglia su carta, ma compilata e spedita in formato digitale a un archivio informatico. Per ritirare il farmaco occorrerà recarsi in farmacia e presentare la tessera sanitaria elettronica. Che il farmacista inserirà in un lettore, così da verificare la prescrizione e da accedere al fascicolo sanitario elettronico (Fse) del paziente. Controindicazioni? Per i medici di base non mancano. Ad esempio Luca Puccetti, medico di base e presidente della Società medica interdisciplinare Promed Galileo, si definisce favorevole all’innovazione ma, avverte, «che sia un’innovazione guidata da criteri clinici. Guai se ci facciamo guidare da chi impone soluzioni ipertecnologiche fine a se stesse o a logiche di profitto». Ogni novità in questo ambito deve, per Puccetti, essere sottoposta a valutazioni indipendenti: «Il problema è che in Italia abbiamo la tendenza a innamorarci facilmente di modelli che vengono dall’estero, senza verificarne l’applicabilità nel nostro contesto sociale, politico e culturale». Modelli che del resto talvolta non funzionano nemmeno all’estero. Puccetti fa riferimento a uno studio del 2010 pubblicato sul British Medical Journal sull’adozione dell’electronic summary, il fascicolo sanitario elettronico: «In Inghilterra una società indipendente ha condotto una valutazione sulla sua applicabilità. L’indipendenza è fondamentale, infatti, se si vuole definire la reale utilità del sistema. I risultati sono stati ben poco confortanti, tanto che il governo Cameron ha deciso di sospenderne l’utilizzo. Onestamente credo che in Italia sarebbe anche peggio».

L’articolo completo su Corriere Medico, 1 dicembre 2011

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