Il 42 per cento degli italiani si fa la doccia tutti i giorni, il 51 tra le due e le cinque volte la settimana. Nella maggioranza dei casi, restiamo sotto il getto caldo tra i 5 e i 15 minuti. Non male: siamo un popolo attento all’igiene. I dati vengono da un’indagine commissionata da Damast, azienda che produce articoli per la doccia, e condotta a marzo 2020 da Doxa su un campione di mille persone tra i 18 e i 64 anni.
I 10 falsi miti dell’igiene orale
Sempre più puliti
È certo che se un’indagine di questo tipo fosse stata svolta cinquant’anni fa i risultati sarebbero stati ben diversi: le abitudini igieniche in Occidente sono andate crescendo, di pari passo con il processo di civilizzazione. «Si è innalzata la soglia della ripugnanza», mi ha spiegato Raffaella Ferrero Camoletto, sociologa della cultura all’Università di Torino, «e sono cresciuti gli standard igienici che, nei secoli, ci hanno allontanati dalla natura». Con i secoli il corpo umano si è fatto sempre meno naturale e sempre più deodorato e profumato: «La deodorazione è uno strumento che, evitando l’invadenza dell’odore altrui, frappone simbolicamente una distanza tra noi e gli altri».
Paura degli odori…
Alla base della diffidenza verso gli odori corporei c’è però anche un altro fattore: l’olfatto non mente. «I sistemi cerebrali che processano gli odori ci consentono di individuare potenziali minacce», scrive Mariella Pazzaglia della Sapienza di Roma in uno studio pubblicato nel 2015 da Current Directions in Psychological Science. «Gli odori corporei funzionano da autenticatori della affidabilità nelle relazioni sociali». Tutto ciò può far paura all’uomo contemporaneo che teme di sentirsi “smascherato” agli occhi (e al naso) degli altri.
…e del “diverso”
Inoltre la mancanza di igiene è collegata al senso di contaminazione e alla repulsione del diverso: «Lo straniero percepito come pericoloso, il deviante, il barbaro sono associati all’idea di sporcizia». È così in tutte le società: basta pensare all’India, in cui il solo contatto con chi apparteneva a una casta inferiore implicava contaminazione fisica e morale. Nel corso di uno studio condotto da Giuseppina Speltini, Stefano Passini e Davide Morselli e pubblicato nel 2010 sul Giornale italiano di psicologia a 450 soggetti fu sottoposto un questionario sul tema. La conclusione? L’igiene personale ricopra valori simbolici connessi proprio alla discriminazione sociale.
Paese che vai
È però vero che non tutti al mondo abbiamo lo stesso concetto di igiene personale. Un’indagine di Euromonitor condotta nel 2014 in Europa, Stati Uniti e Asia aveva interpellato 6600 persone tra i 15 e i 64 anni per poi dimostrare che la frequenza con cui ci si lava interamente varia tantissimo: dalle 12 volte a settimana in Brasile fino alle 4,5 volte in Cina, Regno Unito, Giappone e Germania. Le ragioni di queste differenze? Principalmente culturali. «Da un lato ciascuno di noi impara come e quanto lavarsi in famiglia, ma un peso lo hanno anche le esperienze nel gruppo dei pari così come l’influenza dei media», conclude la sociologa.
Non ti lavi? Sei a rischio di depressione. L’igiene del corpo è poi anche un fatto personale, tanto che il rapporto che ciascuno di noi sviluppa con acqua e sapone è correlato persino al benessere psichico. «Studi condotti nei reparti psichiatrici mostrano come la perdita di interesse per l’igiene personale è correlata alle patologie mentali», spiega Raffaella Ferrero Camoletto. Ad esempio, una delle prime manifestazioni della depressione è la trascuratezza nel proprio aspetto che segnala apatia di fronte a se stessi e al mondo.
L’articolo completo su Airone, aprile 2022