Sul lavoro avete successo, chi sta attorno a voi vi riempie di elogi e vi considera persone capaci. Eppure dentro di voi un pensiero non vi dà tregua: “Si sbagliano, non valgo nulla: mi fanno questi complimenti perché, senza volerlo, sono riuscito a far credere loro di essere competente”. Dite la verità: quante volte vi è capitato di pensare di essere soltanto un grande bluff? Secondo un articolo pubblicato dall’International Journal of Behavioral Science circa il 70 per cento delle persone sperimenta questa falsa percezione, e a esserne più colpite sono le persone con un livello di istruzione elevato e che ricoprono ruoli sociali e professionali importanti.
La paura di essere smascherati
Questo fenomeno è non a caso definito “sindrome dell’impostore”: a descriverlo la prima volta furono, nel 1978, le psicologhe Pauline Rose Clance e Suzanne Imes in uno studio pubblicato da Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice che si concentrava sulla popolazione femminile. Le donne, spiegavano le autrici, sono maggiormente soggette al fenomeno per questioni legate a una posizione ancora subordinata nei confronti dei maschi: «Questa condizione le spinge», scrive la psicologa Sandi Mann in La sindrome dell’impostore (Urra), «all’interiorizzazione dello “stereotipo del sé” che le vuole non competenti: così, di fronte alla dimostrazione che sono non solo competenti ma anche di successo, finiscono per attribuire quel successo ad altro».
Perfezionisti e controllanti
Ma cosa esattamente porta le persone a percepirsi come impostori? Questa percezione distorta di noi è stata associata a caratteristiche psicologiche quali l’introversione, l’ansia, la bassa autostima, la propensione a provare vergogna e a esperienze familiari conflittuali. Gli “impostori” sono persone autocontrollanti che tendono a monitorare costantemente le loro prestazioni: sono cioè dei perfezionisti. «Vivono mettendo in dubbio il loro valore, indipendentemente dagli sforzi fatti e dai risultati raggiunti», mi ha spiegato Roberta Milanese, psicoterapeuta e autrice di L’ingannevole paura di non essere all’altezza (Ponte alle grazie). «In compenso sono bravissimi a enfatizzare ogni loro piccolo errore: per loro il successo vale zero, l’insuccesso vale doppio».
L’imprinting familiare
Le esperienze vissute in famiglia hanno un peso in queste dinamiche: «Alcuni “impostori” sono cresciuti in famiglie che hanno riversato su di loro grandi aspettative e che, sin da piccoli, li hanno spinti a eccellere in tutto: scuola, sport e altro», prosegue la psicologa. «Altri invece sono cresciuti con madri o padri che hanno messo in dubbio le loro capacità». Ciò capita spesso in presenza di un fratello o sorella ritenuti molto capaci dai genitori, con i quali l'”impostore” fa continui confronti. Una volta adulte, queste persone si convincono che, a prescindere dai loro sforzi, non saranno mai capaci. E che pertanto i risultati ottenuti sono soltanto frutto del caso.
L’articolo completo su Airone, gennaio 2022