Il volto svela l’orientamento sessuale?

gay omosessuali fisiognomica intolleranza visoIl gaydar, il “radar gay”, forse esiste davvero. La fantomatica abilità delle persone omosessuali di riconoscere altri omosessuali a colpo d’occhio è stata dimostrata anni fa da uno studio che ancora oggi può insegnarci qualcosa. Nicholas Rule, psicologo all’Università di Toronto (Canada), nel corso di una conferenza della Society for personality and social psychology presentò dati secondo i quali saremmo tutti in grado, già dopo pochi millisecondi, di affermare con un buon margine di certezza se il volto che abbiamo davanti è quello di un uomo eterosessuale oppure omosessuale. Una capacità intuitiva che, secondo lo studioso, è presente anche nelle persone eterosessuali benché in modo meno spiccato. «Inizialmente Rule basava i propri studi su una serie di foto prese da social network e sottoposte alla visione di volontari di ambo i sessi», mi ha spiegato Simona Sacchi, psicologa sociale all’Università di Milano-Bicocca «Successivamente ha impiegato foto di volti privati di elementi, come abbigliamento o taglio di capelli, che possono suggerire l’orientamento sessuale».

La fisionomia e l’orientamento sessuale

Uno studio successivo, condotto alla Stanford University (Usa), ha poi ribadito i risultati mostrando inoltre come persino un software sia in grado di fare lo stesso, identificando inoltre come gli uomini gay abbiano mediamente mandibole più strette, nasi più lunghi e fronti più larghe rispetto agli uomini etero e come le donne omosessuali abbiano mandibole più larghe e fronti più piccole rispetto alle eterosessuali. «Una spiegazione di queste correlazioni tra orientamento sessuale e tratti fisiognomici non esiste ancora», ha precisato Rule, «ma si può ipotizzare un qualche legame genetico che collega morfologia del viso e preferenze sessuali».

Il giudizio a pelle che porta all’intolleranza

Le inferenze sugli altri a partire dai loro volti sono inevitabili: «Ciascuno di noi, senza rendersene conto, si fa un’idea sull’altro sulla base del suo aspetto fisico già nei primi millisecondi del primo incontro», prosegue Sacchi. «Ovviamente si tratta di un giudizio grossolano, spesso non corretto, che viene generalmente modificato se c’è la motivazione a proseguire la conoscenza». Spesso però ci fermiamo alla prima percezione “a pelle”: se al primo impatto il volto di uno sconosciuto ci appare sgradevole rischiamo di bollarlo come antipatico senza nemmeno rendercene conto. Lo stesso potrebbe riguardare l’orientamento sessuale: chi è omofobo potrebbe essere portato a un giudizio negativo verso uomini che percepisce istintivamente come gay, anche se in realtà sono eterosessuali. Chiaro quindi come questi giudizi superficiali possano aprire la strada a odio e discriminazioni in ragione di antipatie senza fondamento. 

Perché alcuni hanno molti pregiudizi?

I volti a cui non siamo abituati…

Nelle antipatie (o simpatie) a pelle c’entrano anche le esperienze che ciascuno di noi ha avuto nel corso della vita con specifici gruppi umani. Ad esempio in uno studio pubblicato nel 2016 su Nature Human Behaviour da Alexander Todorov, psicologo all’Università di Princeton (Usa) e autore di Face value. The irresistible influence of first impressions (“Il valore del volto. L’influenza irresistibile della prima impressione”), fu dimostrato che tendiamo a giudicare un viso tanto più rassicurante quanto più si avvicina alla media dei volti visti fino a quel momento della nostra vita: «La nostra mente ha la tendenza a estrapolare una media tra tutti gli oggetti che vediamo, facce comprese», mi ha spiegato Todorov in un’intervista. «Ciò che è medio ci appare familiare e ciò che è familiare ci appare degno di fiducia». Questo spiega chiaramente l’origine di atteggiamenti e comportamenti intolleranti nei confronti alcuni soggetti che, a primo impatto, giudichiamo semplicemente come diversi da noi.