
La parola “empatia” è ormai da anni sulla bocca di tutti. Ci dicono che dobbiamo saper provare empatia perché così il mondo sarà migliore, ci saranno meno odio, meno violenze, meno guerre. Dobbiamo entrare in sintonia con i nostri simili per sconfiggere l’indifferenza, imparare a sentire il dolore altrui per rispettare il prossimo e creare solidarietà sociale. Indubbiamente saper “sentire” le emozioni degli altri ha un’importanza fondamentale nelle relazioni sociali: favorisce la coesione sociale. Ma davvero è sempre così?
Attenzione al burnout
In alcune condizioni l’empatia può però rappresentare un ostacolo. Se un buon medico deve certamente essere motivato dal desiderio di aiutare gli altri, un eccesso di empatia con il paziente sarebbe invece controproducente. Pensiamo a un chirurgo che dovesse immedesimarsi nella sofferenza di un paziente a cui è stata diagnosticata una grave malattia: il solo pensiero che dal suo agire può dipendere la vita di quella persona, e dunque il dolore di un’intera famiglia, lo porterebbe a commettere errori durante l’intervento. Oppure ad andare incontro a un crollo psicologico.
Il pericolo dell’indifferenza
Ma non solo: «Quando l’immedesimazione nelle vicende altrui diventa troppa», scrive lo psicologo Steve Ayan in un saggio uscito sulla rivista di neuroscienze Gehirn & Geist, «tendiamo a non voler vedere il loro dolore e non ci sentiamo più responsabili». Un eccesso di sofferenza può spingerci infatti a voltare le spalle agli altri, sopraffatti da un’emozione troppo intensa. Così da stimolo ad aiutare chi ha bisogno, l’empatia porta all’indifferenza: meglio sarebbe un coinvolgimento morale nel disagio altrui ma senza un carico di emozioni che l’empatia inevitabilmente porta con sé.
Le emozioni creano ingiustizie
Ma non è tutto. Nell’uomo è infatti innata la tendenza a provare empatia in misura diversa a seconda di chi abbiamo di fronte: «La ricerca», mi ha spiegato Paolo Albiero, psicologo all’Università di Padova e ricercatore sul tema dell’empatia, «ha dimostrato che è più immediato e più probabile provare empatia per chi conosciamo e per chi è più simile a noi quanto a età, genere, gruppo etnoculturale, livello socioeconomico, religione o orientamento sessuale». Essere bravi cittadini implica però il dovere morale di riservare a tutti lo stesso trattamento, anche a chi non è “dei nostri”: «L’empatia è faziosa, di parte», scrive lo psicologo canadese Paul Bloom nel suo discusso saggio Contro l’empatia. Una difesa della razionalità (Liberilibri). «Ci spinge verso il campanilismo e il razzismo». Insomma, ci porta ad aiutare o a riservare una corsia preferenziale a chi vogliamo noi.
L’articolo completo su Airone, ottobre 2020