Se provate a parlare a un quindicenne di Facebook sicuramente vi riderà in faccia. Il cosiddetto “re” dei social media orami è roba da cinquantenni o giù di lì. Instagram continua invece a essere molto amato da tutti, anche se tra i più giovani è sicuramente TikTok a fare presa insieme a numerose altre app che, ciclicamente, sono di moda in fatto di digitale (nella foto Luciano Spinelli, uno dei più seguiti tiktoker italiani). Tuttavia se oggi vogliamo comprendere i nostri figli, più che studiare il funzionamento degli strumenti digitali che impiegano dovremmo osservare in che modo intrattengono i loro rapporti interpersonali attraverso i media digitali.
I giovani si definiscono con i social
Su questo tema è stato pubblicato quest’anno il sedicesimo rapporto Censis sulla comunicazione, dal titolo I media e la costruzione dell’identità. Tra i dati riportati uno in particolare salta all’occhio: quasi il 10 per cento dei giovani, tra i 14 e i 29 anni, ha affermato che il principale fattore che contribuisce a plasmarne l’identità è costituito dai propri profili social. Se cioè la maggior parte degli intervistati, a tutte le età, definisce se stesso in base all’appartenenza al proprio nucleo familiare, alla nazionalità o a una comunità religiosa, un giovane su 10 spiega invece di identificarsi prima di tutto nella sua controparte virtuale che, giorno dopo giorno, crea a colpi di selfie e video pubblicati. Del resto i “nuovi” social, quelli post-Facebook, non solo più semplici strumenti di comunicazione: sono anche e soprattutto luoghi in cui gli utenti acquisiscono un’identità.
L’era dei video (lunghi e brevi)
In particolare con il passaggio dalla vecchia generazione di social alle stories di Instagram e a TikTok emerge come ad avere un ruolo sempre più centrale sono immagini, selfie ma, soprattutto, video. Del resto la rete oggi è fatta soprattutto di filmati: videocorsi di formazione, tutorial su YouTube oltre appunto a stories e contenuti TikTok. Superati i brevi post di Facebook, i giovanissimi raccontano dunque se stessi quasi solo con quest’ultimo formato digitale. Lo sanno bene le aziende che impiegano questo strumento per comunicare proprio con loro: i contenuti video sono infatti i più coinvolgenti e appassionanti, oggi. Secondo uno studio condotto dalla multinazionale delle telecomunicazioni Cisco, entro due anni l’82 per cento di tutti i contenuti online sarà costituito da filmati.
Le relazioni online
Proprio i video, insieme alle foto, hanno un peso sul piano identitario e psicologico. «I social media», mi ha spiegato Stefania Leone, sociologa e coordinatrice dell’Osservatorio comunicazione partecipazione culture giovanili all’Università degli studi di Salerno, «concorrono in modo significativo a esprimere l’identità sociale, ossia quella legata al rapporto con gli altri». Per i giovanissimi utenti di Instagram e TikTok, in particolare, il digitale e la vita reale sono uno spazio unico: comunicare in presenza oppure su FaceTime o tramite un video è per loro pressoché la stessa cosa. «Certo la loro identità si mostra attraverso i social ma si modella, come nella vita reale, per mezzo delle relazioni con gli altri», prosegue la studiosa. Le immagini e i video di sé con cui i giovanissimi si raccontano nascono sempre, infatti, da un’interazione: dall’imitazione o dal semplice confronto con quello che fanno gli altri.
Il rischio di mettersi in vetrina
C’è però un aspetto negativo: l’identità che i giovani lasciano emergere dai loro profili social, complici proprio video e selfie, rischia di essere “vetrinizzata”, come dicono i sociologi: in pratica, un “io” ideale plasmato sulle aspettative altrui. Diversi psicologi hanno collegato questo fenomeno a un’impennata di atteggiamenti narcisistici e patologici. Del resto può anche dar luogo a quella condizione, descritta per la prima volta nel 2013 da Andrew Przybylski dell’Università di Oxford (Regno Unito), definita come fomo (dall’inglese fear of missing out, ovvero “paura di perdersi qualcosa”). «Il seguito di follower si accompagna alla ricerca di consenso, con i rischi che ne conseguono considerando la scarsa possibilità di controllo di questi spazi virtuali», aggiunge Leone. Del resto è stato riscontrato che circa 5 adolescenti su 10 percepiscono come normale la condivisione non solo di tutto ciò che fanno, ma anche di foto che ritraggono momenti della propria intimità. Ma questo non è sempre sano.