Perché l’abitudine ci permette di non pensare troppo. Lo vediamo quando siamo al supermercato, ad esempio: «Le abitudini d’acquisto sono routine per semplificarci la vita», ha spiegato Chiara Mauri, docente di marketing all’Università Bocconi di Milano. «Tanto che dei prodotti che acquistiamo più spesso, come quelli per le pulizie o alcuni generi alimentari, selezioniamo in genere due o tre marche e compriamo sempre quelle». Per questo molte aziende studiano i comportamenti di acquisto analizzando i singoli scontrini: la presenza di certi prodotti nella stessa spesa può aiutare a venderli meglio. Queste abitudini, curiosamente, vengono sconvolte però durante e subito dopo una gravidanza: «Tutte le routine in quel periodo vengono lasciate da parte», ha scritto Charles Duhigg, autore di La dittatura delle abitudini (Corbaccio). «È quindi quello il momento migliore per spingere all’acquisto di prodotti nuovi». Non è un caso che da qualche tempo la catena di megastore americani Target abbia lanciato una campagna di monitoraggio del comportamento delle acquirenti incinte.
Le abitudini sono come gli stereotipi
Lasciarci andare alle abitudini significa quindi, in un certo senso, pensare con il “pilota automatico”. È quello che capita anche quando ci abbandoniamo a pregiudizi e stereotipi: «Non potremmo analizzare tutte le caratteristiche delle persone che incontriamo», mi ha detto Luciano Arcuri dell’Università di Padova. «Usiamo quindi dei sistemi di categorizzazione». Così diamo per scontato che da un inglese ci dovremo aspettare un comportamento compassato mentre da uno spagnolo un atteggiamento più caloroso e simile al nostro. Questo ci dà un senso di controllo sulla realtà («Con gli stereotipi prevediamo come si comporterà una persona», aggiunge Arcuri) ma, come tutte le abitudini consolidate, ci porta a ridurre la nostra capacità di giudizio e di apertura al mondo. Specie quando siamo chiamati a giudicare il comportamento di chi appartiene a culture diverse dalla nostra.
Come funzionano le abitudini
In ogni caso secondo Duhigg sono tre gli step che portano al consolidamento di un’abitudine:
1. Si parte da un evento scatenante: il cervello cioè nota che un’azione è già stata ripetuta, sempre nello stesso modo e all’incirca allo stesso momento e nello stesso posto, già diverse volte. È questo l’interruttore dell’abitudine, che segnala la possibilità di instaurare il pilota automatico;
2. Inizia la routine, l’abitudine vera e propria. Da quel momento l’azione sarà ripetuta sempre uguale, secondo lo stesso copione (o script);
3. Arriva la ricompensa: la ripetizione genera sicurezza e benessere, meccanismo che rinforza ulteriormente l’abitudine e la consolida.
Dove risiedono le abitudini? Nello striato, un’area del cervello inclusa nei gangli basali sotto la neocorteccia. Questa zona centrale dell’encefalo, hanno dimostrato i ricercatori guidati da Mark Packard della Texas A&M University (Usa), è connessa all’apprendimento delle abitudini più rigide. Non è un caso che queste aree siano coinvolte anche nell’evoluzione del morbo di Parkinson, malattia caratterizzata da tremori e dalla perdita della capacità di apprendere azioni frequentemente ripetute.
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