Chirurgia estetica, fenomeno sociale

chirurgia esteticaUn paziente va dal chirurgo estetico lamentando un naso deforme. Il medico lo osserva da ogni angolatura, ma quel naso appare proporzionato e del tutto normale. La scena capita frequentemente, e in questi casi è compito del chirurgo far comprendere al cliente che quella deformità è solo nei suoi occhi e che, pertanto, non verrà sottoposto ad alcun intervento. La causa è frequentemente una dismorfofobia: «Secondo studi Usa questo disturbo colpisce il 2,5 per cento della popolazione, senza differenze tra uomini e donne», mi ha spiegato Massimo Clerici, psichiatra presso l’Università di Milano-Bicocca. Ma la percezione alterata non scompare con l’intervento estetico: se operati, questi pazienti spostano la loro preoccupazione verso un’altra parte del corpo.

Non più solo i ricchi

Difficile dire se la maggior parte delle persone che oggi, in numero sempre crescente, si rivolgono alla chirurgia estetica sia affetta da dismorfofobia. Certo è che questa branca della chirurgia plastica è ormai anche un fenomeno sociale: oggi registra interesse crescente in tutti gli strati sociali, non solo quelli più elevati. «Oggi è trasversale il diritto e dovere a essere belli», mi ha detto Rossella Ghigi, sociologa all’Università di Bologna e autrice di saggi sulle trasformazioni corporee «ed è cambiata la soglia di ciò che viene considerato brutto. Tuttavia all’incremento di interventi ha contribuito anche un contenimento dei prezzi permesso da finanziamenti e rateizzazioni». In parte, però, la chirurgia estetica è ancora oggi uno status symbol: mostrare un volto palesemente “rifatto” può essere segno di appartenenza, almeno in alcuni gruppi sociali elitari. «In alcuni casi», prosegue la sociologa, «la domanda di chirurgia estetica ha seguito infatti quella dei beni di lusso».

La chirurgia da selfie

Ma c’è un fatto nuovo: secondo rilevazioni della Società italiana di medicina estetica (Sime), una parte sempre più consistente delle procedure estetiche non chirurgiche (come iniezioni di filler) viene condotta su ragazze tra i 18 e i 29 anni mentre una ricerca condotta dalla stessa Ghigi tra studentesse delle scuole superiori valuta attorno al 20 per cento la quota di giovani che dichiarano di non disdegnare l’idea di una mastoplastica additiva. «Alcune giovani pazienti», ha detto in un’intervista il presidente della Sime Emanuele Bartoletti, «vanno dal medico per chiedere di correggere inestetismi inesistenti che si sono viste in un selfie».

L’articolo completo su Airone, agosto 2019