Hanno trent’anni e vivono ancora con i genitori, dormono nella cameretta di quando erano adolescenti, lavorano ma non contribuiscono alla vita familiare, sono autonomi e per loro la casa è un luogo in cui trovare tutto pronto e dove essere serviti. Certo non tutti i giovani adulti sono così, ma sicuramente il fenomeno dei trentenni eterni adolescenti esiste ed è diffuso non solo nel nostro Paese. Lo spiegano i sociologi e lo conferma anche Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea: nel Vecchio continente si è adulti solo dopo i trenta.
Una nuova fase di vita
Quella che oggi sembra allungarsi nel tempo però non è l’adolescenza propriamente detta, ma la fase immediatamente successiva: quella tra i venti e i trenta. Lo psicologo americano Jeffrey Arnett la definisce con il termine emerging adulthood e ne identifica alcuni aspetti come la ricerca di una propria personalità anche dopo l’adolescenza. «Questa nuova fase di vita si configura come quella dell’attesa di una stabilità», mi ha spiegato Carmen Leccardi, docente di Sociologia della cultura all’Università di Milano-Bicocca. «Non riuscendo a inserirsi nel mondo adulto, molti impiegano quindi questi anni per incrementare il loro livello di istruzione con lauree, specializzazioni e master che però non sempre corrispondono a migliori occasioni di lavoro successive».
È anche cambiata la famiglia
Questo, però, è solo un aspetto della questione. A maggio l’Istituto Giuseppe Toniolo ha pubblicato per Il Mulino l’edizione 2019 dell’annuale Rapporto giovani. La condizione giovanile in Italia. Nel loro intervento, Sara Alfieri, Sara Martinez Damia ed Elena Marta affrontano proprio il tema dell’uscita di casa: «Nei paesi del Sud Europa, dove c’è una maggiore prossimità e vicinanza emotiva alla famiglia, un alto reddito dei genitori porta i giovani a rimanere a vivere con loro». In altre parole, i fattori che influiscono sulla decisione di andare a vivere da soli o meno non sarebbero solamente economici ma anche culturali e sociali. Questo vale anche per altre scelte importanti: «I dati segnalano che non sono solo i precari a differire il matrimonio e l’arrivo dei figli», scrive in un articolo sul Corriere della sera Maurizio Ferrera, docente di Scienza politica all’Università di Milano. «Lo fa anche chi non ha problemi di reddito e lavoro: in parte si tratta quindi di una scelta».
Restare ragazzi, un vantaggio per i genitori…
Alla base di tutto ci sono rapporti mutati tra genitori e figli: «Esiste un reciproco vantaggio», mi ha spiegato la stessa Elena Marta, che insegna Psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano: «In famiglia i giovani hanno un ampio margine di libertà e usano in totale autonomia la casa, spesso senza contribuire al mantenimento. Ma d’altro canto i genitori trovano nella convivenza prolungata con i figli conferma della loro idea di essere buoni genitori».
L’articolo completo su Airone, giugno 2019