Social e politica, rapporto impossibile?

social media flaming.jpgI social ci hanno resi cattivi e aggressivi, si dice: basta un commento fuori posto, e subito ci arrabbiamo. Il fenomeno è quello del flaming e nasce dalla tendenza tipica, tipica nella comunicazione non vis à vis, di esacerbare le emozioni che nascono dal confronto con persone di cui non vediamo il volto. Lo scorso anno l’informatico e guru del digitale Jaron Lanier ha pubblicato Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore), in cui spiega perché e come i social ci hanno portato a essere così, ma anche sospettosi, isolati, estremisti e incapaci di relazionarci con il mondo. Eppure è difficile abbandonare queste piattaforme. Del resto i dati Audiweb per l’Italia relativi al 2018 mostrano un incremento degli accessi alle principali piattaforme: sono 35 milioni gli italiani che sono entrati almeno in un’occasione su YouTube lo scorso anno, poco di più di quelli che hanno aperto Facebook almeno una volta.

I social non cambiano la mente, eppure…

Questa incapacità di controllare le nostre pulsioni mentre siamo online, così come quella di dire addio a Facebook quando non ne possiamo più, è forse indice del fatto che i social stanno alterando la nostra capacità di giudizio? «Non credo che possano modificare in modo così radicale i comportamenti delle persone», mi ha detto Simona Tirocchi, docente di sociologia dei media digitali all’Università di Torino: «contano di più le nostre disposizioni personali, il contesto in cui viviamo e la tipologia di social. Certo è che possono contribuire, in particolari condizioni, a esporci di più rispetto a quanto faremmo dal vivo». Quel che è certo è che questi sono mezzi che si prestano all’anonimato, che può aprire la strada ad altri fenomeni.

Aggressività e politica

Tra questi l’aggressività che traspare nei dibattiti politici. Del resto i social hanno cambiato il modo di vivere la partecipazione democratica: oggi nessun politico osa sbilanciarsi senza essersi fatto un’idea delle opinioni del suo elettorato su questioni chiave attraverso Facebook o Twitter. Grazie ai dati analitici degli iscritti, queste piattaforme consentono di misurare la risposta del pubblico agli interventi dei vari leader, ad esempio. «I social media offrono l’opportunità di superare la distanza e la sfiducia che i governati nutrono verso i governanti, attivando forme di interazione personale», ha scritto Sara Bentivegna, che insegna comunicazione politica alla Sapienza di Roma.

Coltiviamo le capacità critiche

Il problema sorge quando gli utenti scambiano la libertà di espressione con la possibilità di dare giudizi su ciò di cui non si hanno le competenze: così nascono e si sviluppano le fake news. Ciò è agevolato dal fatto che in rete tutto è polarizzato, come spiegano i sociologi: in pratica si creano gruppi o luoghi virtuali in cui le persone più estremiste interagiscono solo con chi la pensa come loro, inveendo contro chi ha un’opinione diversa. Così però il confronto muore e le opinioni si fanno rigide e l’aggressività sale. Come uscirne? «Soltanto acquisendo competenze adeguate a lettura, analisi, valutazione e produzione critica dei contenuti», conclude Tirocchi, «i cittadini potranno sfruttare le potenzialità democratiche della rete».

L’articolo completo su Airone, maggio 2019

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