Alcuni anni fa la rivista scientifica Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts pubblicò i risultati di una ricerca secondo cui negli ultimi cinquant’anni la musica pop è diventata più lenta e triste. Condotto dallo psicologo canadese Glenn Schellenberg e dal sociologo tedesco Christian von Scheve analizzando più di mille canzoni di successo dalla metà degli anni Sessanta agli anni Duemila, per arrivare a questa conclusione lo studio aveva misurato alcuni indicatori come velocità in battiti al minuto, tonalità e contenuto dei testi. Ma anche un altro aspetto è cambiato negli anni: il modo. Con questo termine si indica l’uso della scala maggiore, che produce sonorità allegre, o di quella minore, che dà luogo a composizioni tristi e introspettive. Se negli anni Sessanta tra le canzoni ai vertici delle classifiche si contava solo un 15 per cento di pezzi in modo minore, a metà degli anni Duemila erano il 56 per cento.
Il legame tra musica ed emozioni
La musica ha infatti molto a che fare con le emozioni: agisce infatti principalmente sulla corteccia uditiva, dove esiste un gruppo di neuroni specializzati nelle note. A scoprirli nel 2015 furono ricercatori del Massachusetts Institute of Technology sottoponendo 10 volontari a 165 tra suoni musicali e rumori. Oltre però alla corteccia uditiva sono stimolati anche i centri del piacere: nel 2011, impiegando risonanza magnetica e tomografia e emissione di positroni (Pet), ricercatori della McGill University di Montreal (Canada) guidati da Robert Zatorre avevano dimostrato che il piacere della musica, come quello prodotto dalle droghe, attiva il circuito della ricompensa coinvolto nelle attività gratificanti liberando dopamina.
Ricordi proustiani…
Ma le melodie interagiscono poi con l’ippocampo, struttura correlata a memoria e apprendimento: «La risposta emotiva alla musica è infatti legata anche ad associazioni con eventi e stati della propria vita», mi hanno spiegato Marco Costa e Leonardo Bonetti, psicologi presso l’Università di Bologna, «come viaggi, relazioni sentimentali, particolari stati d’animo, eventi significativi». Ecco perché, mentre ascoltiamo una canzone della nostra adolescenza, alle note del ritornello ci prende immancabilmente un tuffo al cuore: è il fenomeno della memoria episodica o involontaria, di cui persino Marcel Proust scriveva nella Ricerca del tempo perduto. Le emozioni musicali, va detto, sono trasversali ai vari contesti culturali: «Pur con certe differenze individuali», proseguono gli studiosi, «si può individuare una grammatica universale delle emozioni in musica».