Dovremmo fare come Puffo Brontolone, ogni tanto: dire apertamente che quello che gli altri ci propongono proprio non ci piace. Bastian contrari? No, almeno fino a un certo punto. Oggi il problema di molti è la paura che opporsi, che dire di no li porti a essere giudicati male. «Una forma di patologia della personalità», la definisce Roberto Anchisi, membro della direzione scientifica dell’Istituto europeo per lo studio del comportamento umano e coautore di Manuale di assertività (Franco Angeli) insieme a Mia Gambotto Dessy. «Del resto perfino Dante nella Divina Commedia ha posto i conformisti tra gli ignavi».
Paura di essere respinti
Purtroppo molti convivono tutta la vita con questi timori: il divulgatore tedesco Rolf Sellin nel suo recente Le persone sensibili sanno dire no (Feltrinelli Urra) spiega che queste persone non sono ben viste: «Un bambino ipersensibile che cerca di adattarsi alla maggioranza lo fa perché non si rende conto di che cosa ha bisogno, non ha percezione di sé, né ha consapevolezza della sua forza e della sua debolezza e non sa individuare i propri limiti».
Chi si concede troppo non piace
Dire di no è importante, spiegano gli psicologi. Talvolta è paradossalmente l’eccessiva arrendevolezza a renderci poco apprezzati: «Essere disponibili dimostra gentilezza, essere sempre a disposizione rasenta l’assenza di un’identità e la mancanza di un senso del limite», mi ha detto lo psicologo Edoardo Giusti, fondatore e presidente di Aspic, Associazione per lo sviluppo psicologico dell’individuo e della comunità. Certo uniformarci agli altri talvolta è inevitabile, in momenti complicati. Lo vediamo oggi, con la tendenza socialmente sempre più diffusa a “salire sul carro del vincitore” seguendo l’opinione più in voga invece di motivare la nostra quando quest’ultima può non essere apprezzata dagli altri.
Che cos’è l’assertività
Per gli psicologi il benessere sta tra eccesso di disponibilità ed egoismo. In coppia, nei rapporti di amicizia, tra parenti o colleghi questa via di mezzo si chiama assertività. Davanti a una richiesta a cui vorremmo rispondere di no, ma a cui ci sentiamo di dover accondiscendere per non deludere l’altro, tendiamo troppo spesso a reagire in due modi opposti: a rifiutare aggressivamente («Non mi sogno minimamente di farti questo favore») o a dire di sì controvoglia. La tattica migliore è invece l’analisi razionale di ciò che ci viene chiesto cui può seguire un onesto “no” e una spiegazione delle nostre ragioni. L’assertività implica infatti empatia e rispetto: l’assertivo che dice di “no” lo fa in modo da non urtare l’altro.
Siamo “pecoroni” per colpa dell’evoluzione. La tendenza a uniformarci è iscritta nei nostri geni: nel 2009 il neurologo Vasily Klucharev del Donders center for cognitive neuroimaging di Nijmegen (Olanda) spiegava in uno studio sulla rivista Neuron che il nostro cervello è fatto per adeguarsi all’opinione e al comportamento della maggioranza. Tramite risonanza magnetica aveva rilevato l’attivazione di due aree cerebrali connesse ai comportamenti sociali dimostrando come esse entrino “in allarme” quando esprimiamo un’opinione difforme dalla media. Il vantaggio di questo sistema? Uniformarci ci ha permesso, nel corso dell’evoluzione, di incrementare il senso di appartenenza alla comunità.