Gli incidenti al volante? Gran parte causati dalla distrazione da smartphone. In base ai più recenti dati Istat, nel 2016 quelli imputabili alla guida distratta sono stati oltre 36mila, circa il 16 per cento del totale. Così il numero delle vittime sulle strade, che nel 2016 si era stabilizzato, nel 2017 è cresciuto del 2,7 per cento. «Se avessimo maggiore consapevolezza dei meccanismi che guidano i processi dell’attenzione sarebbe forse possibile prevenire questi decessi in modo più efficace», mi ha spiegato Carlo Umiltà, professore emerito di neuropsicologia all’Università di Padova e coautore insieme a Paolo Legrenzi di Una cosa alla volta. Le regole dell’attenzione (Il Mulino). Non solo, distrazioni eccessive hanno un impatto negativo sulle relazioni interpersonali: «Ricerche dimostrano che un sovrautilizzo di smartphone, in grado di ridurre le nostre capacità attentive, ha conseguenze sui rapporti faccia a faccia, sulla salute mentale e su quella fisica», commenta Larry Rosen, professore emerito di psicologia alla California State University (Usa).
Cervelli troppo “antichi”
Eppure la tendenza ad avere sempre la testa tra le nuvole e a vagare con la mente è ormai una costante per tutti e non dipende solo dagli smartphone. Quante volte ci capita di dirigerci verso il frigo, aprirlo e renderci conto che non ci ricordiamo più cosa stavamo cercando? Di questo fenomeno ha parlato anche Tom Stafford dell’Università di Sheffield, che in un articolo pubblicato sul portale della Bbc ha citato il cosiddetto “effetto soglia”: andiamo in un’altra stanza per fare qualcosa e quando arriviamo ci dimentichiamo di cosa siamo venuti a fare. Per Stafford queste dimenticanze temporanee, legate a un cambiamento di luogo fisico, rappresentano un ottimo punto di vista sul funzionamento del cervello. Sul tema lo stesso Rosen insieme a Adam Gazzaley è uscito recentemente in libreria con un saggio dal titolo Distracted mind. Cervelli antichi in un mondo ipertecnologizzato (Franco Angeli) in cui questa forma di dimenticanza è definita “interferenza su un obiettivo”: «Può essere generata sia dall’interno, presentandosi con pensieri nella propria mente, sia dall’esterno, attraverso stimoli sensoriali», scrivono. Ma perché la nostra mente è così facilmente distraibile? «Tutti i sistemi complessi sono vulnerabili alle interferenze, compreso il funzionamento dei nostri pc», proseguono gli autori. «Il cervello umano, innegabilmente il sistema più complesso dell’universo conosciuto, è dunque estremamente vulnerabile». Ma non è solo questa la ragione. Secondo gli studiosi, la distraibilità è una conseguenza evolutiva: le nostre capacità di controllare l’attenzione non si sono sviluppate tanto quanto le nostre funzioni cognitive. In altre parole, sappiamo fare molte più cose dei nostri progenitori, ma ancora non abbiamo imparato del tutto a concentrarci su una alla volta.
I distratti patologici, chi sono? Avete presente quel collega che finisce sempre col dimenticarsi gli appuntamenti e sbagliare i suoi compiti obbligando gli altri a rimediare? Secondo alcune ricerche la distrazione “patologica” potrebbero avere causa in una particolare conformazione del cervello. Ryota Kanai e i colleghi dello University College of London (Regno Unito) hanno rilevato, in una ricerca, volumi maggiori in alcune zone del cervello nelle persone più predisposte alla distrazione. «Anche se esistono differenze individuali nell’abilità individuale di distribuire le nostre risorse attentive», mi ha detto Carlo Umiltà, «una ragione certa non è nota».
L’articolo completo su Airone, gennaio 2019