Lo scorso anno ci ha pensato la Società italiana di diabetologia (Sid) a schierarsi contro i ciarlatani delle diete dimagranti. «Non esiste alcune legame», aveva scritto Rosalba Giacco, redattrice del documento prodotto dalla Sid ed esperta di nutrizione, «tra allergie alimentari e sovrappeso». La presa di posizione parte dalla moda delle diete che si basano sulle intolleranze: si tratterebbe di prescrizioni senza alcun fondamento eseguite sulla base di «pseudo-intolleranze diagnosticate con i metodi più fantasiosi». Queste metodologie, come il dosaggio degli anticorpi IgG4 alimento-specifici, non sono riconosciute dalla letteratura scientifica: «La positività al test», prosegue Giacco, «non indica infatti una condizione di allergia o intolleranza alimentare, ma una semplice risposta fisiologica del sistema immunitario all’esposizione ai componenti presenti negli alimenti».
Necessità o moda?
A oggi però il business delle diete continua a essere importante, forte di una certa credulità e di un oggettivo problema di peso in eccesso che tuttavia dovrebbe essere affrontato con ben maggiore serietà. Del resto secondo il rapporto Osservasalute 2015, che riprende dati Istat del 2014, era in sovrappeso un 36,2 per cento della popolazione italiana ed è obeso il 10,2 per cento. Se è vero che siamo ciò che mangiamo, come diceva il filosofo Ludwig Feuerbach nei primi dell’Ottocento, dobbiamo quindi iniziare a curarci seriamente proprio partendo dalla tavola: «Le linee guida internazionali per la prevenzione delle patologie attraverso la nutrizione sottolineano come tutti i nutrienti debbano essere assunti attraverso l’alimentazione», mi ha detto nel corso di un’intervista Anna Villarini, biologa e specialista in scienza dell’alimentazione presso l’Istituto dei tumori di Milano. Questo significa che gli integratori e i cibi arricchiti, come ad esempio quelli a cui vengono aggiunti calcio, ferro o fibre, sono utili solo quando un medico diagnostica una carenza alimentare non correggibile solamente con un’alimentazione corretta. «In una persona in salute, invece, sono inutili se non dannosi: prendere pastiglie di vitamina C non sarà mai come bere spremute d’arancia».
L’unica vera dieta, quella mediterranea
Un consiglio che va bene per tutti, però, c’è e viene dal nostro Paese: la dieta mediterranea. «Non si tratta di sciovinismo: il primo a parlare dei benefici dell’alimentazione seguita nell’Italia del sud fu un americano, Ancel Keys, nel secondo Dopoguerra», precisa Villarini. Il medico statunitense, che per decenni visse in provincia di Salerno, scoprì infatti come l’alimentazione estremamente povera del Cilento era correlata a una ridotta mortalità per patologie cardiocircolatori rispetto all’opulenta America. A sessant’anni dall’intuizione di Keys, questa dieta è ancora oggi considerata dai ricercatori di tutto il mondo la migliore strategia alimentare per la prevenzione di tumori e malattie cardiovascolari, a oggi prime cause di morte nei Paesi occidentali. Uno studio di qualche anno fa condotto dalla Sahlgrenska Academy di Göteborg (Svezia) aveva mostrato ad esempio come tra gli svedesi che seguono questo regime l’aspettativa di vita è superiore del 20 per cento rispetto a chi segue abitudini alimentari scandinave. Eppure da tempo in Italia le regioni a più alto tasso di persone in sovrappeso oppure obese sono Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Calabria. Perché proprio i luoghi dove si dovrebbe mangiare meglio? «Perché la dieta mediterranea non è più seguita da nessuno, stravolta prima dall’abuso di formaggi come le mozzarelle e poi dall’eccessivo consumo di prodotti dolciari industriali, di snack salati e di bevande zuccherate», conclude Villarini. Tanto che a fare le spese del sovrappeso, proprio al Sud, sono oggi soprattutto i bambini con tassi di obesità infantile incredibilmente alti.