Lombroso aveva ragione?

fisiognomicaDimmi che volto hai e ti dirò chi sei: quante volte ci siamo imbattuti in articoli di giornale o, più semplicemente, in chiacchiere su questo tema. L’idea che dalla forma del volto, dall’aspetto degli occhi o dalla posizione del naso si possa arrivare a intuire la personalità di chi abbiamo davanti è antichissima ed è legata al mito della fisiognomica, oggi considerata pseudoscienza. Come tutti i miti anche questo è duro a morire: una decina di anni fa la divulgatrice americana Jean Haner pubblicò un saggio sul face reading, la lettura del volto, tecnica che lei stessa afferma di aver appreso dalla famiglia cinese del marito. Così ad esempio, secondo Haner sopracciglia folte indicano forza e durezza di carattere mentre un naso all’insù è segno inequivocabile di generosità. Anche la cosiddetta morfopsicologia si propone di dimostrare come le tensioni muscolari del volto necessarie a dar forma alle espressioni possano, in alcuni casi, diventare croniche. In altre parole, se una persona esibisce molto spesso la stessa espressione, ad esempio perché è sempre corrucciata o allegra, i muscoli del volto finiranno per portarne una traccia modificando la faccia stessa. Ancora, ne Il linguaggio segreto del volto (Piemme) Anna Guglielmi scrive: «Diventati adulti, il nostro volto si è plasmato seguendo il nostro stile di vita e le scelte fatte: se abbiamo privilegiato l’aspetto razionale, trascurando i sani piaceri della vita, le nostre labbra rinsecchite lo raccontano». Anche in questo scaso siamo nell’ambito delle speculazioni e di dimostrato c’è ben poco.

L’importanza della prima impressione

In ambito scientifico gli studi sui legami tra volto e psiche, oggi, vanno in un’altra direzione: «Circa un quarto del mio libro», mi ha raccontato Alexander Todorov, psicologo all’Università di Princeton (Usa) e autore di Face value. The irresistible influence of first impressions (“Il valore del volto. L’influenza irresistibile della prima impressione”), «è dedicato a smantellare le teorie fisiognomiche». Nonostante tutto siamo infatti ancora affascinati da queste ipotesi fantasiose: «La ragione è che non possiamo fare a meno di farci una prima impressione di chi incontriamo», spiega. «Si tratta di un fenomeno naturale e automatico che influenza le nostre decisioni». Studi come quelli condotti dallo stesso Todorov sulla base di specifici modelli matematici tentano di comprendere non il legame tra volto e mente, ma piuttosto come il viso dei nostri interlocutori influenzi la percezione che ci facciamo della loro personalità, a prescindere da quanto questa si riveli poi corretta o meno.

Le tre caratteristiche importanti

Secondo Todorov sono tre gli aspetti che tendiamo maggiormente a giudicare partendo da come appare un volto:

1. attrattività, ovvero un giudizio su quanto il viso che abbiamo davanti e piacevole;
2. affidabilità, cioè una stima di quanto l’interlocutore ci appare serio e degno di fiducia;
3. tendenza alla dominanza e all’aggressività.

Più nello specifico dalle sue indagini sono emersi anche altri aspetti curiosi: ad esempio che tendiamo a valutare le persone attraenti come più competenti, intelligenti e affidabili della media, oppure che associamo inconsciamente a tratti del viso delicati attributi di personalità come onestà e gentilezza. Al contrario la tendenza alla dominanza è percepita più forte nei volti con tratti duri, molto maschili e con pelle scura. Infine l’estroversione: tendiamo a considerare più socievoli le persone con un volto più largo, forse perché richiama in noi la larghezza del sorriso. «Anche se non c’è prova che le persone estroverse, ad esempio, abbiano realmente un volto più largo», precisa Simona Sacchi, psicologa sociale all’Università di Milano-Bicocca, «è però evidente che considerare estroversa una persona per via di un certo tipo di viso può predisporla positivamente». Detto in altre parole, si potrebbe verificare il cosiddetto fenomeno della profezia che si autoavvera: la persona con il volto largo tenderà a comportarsi in modo effettivamente estroverso quasi per confermare, inconsciamente, le aspettative che gli altri ripongono su di lei.

L’articolo completo su Airone, aprile 2018

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