La prima “vera” amicizia vede la luce normalmente solo dopo gli 11 anni. «Nei primi anni di vita infatti l’individuo fa fatica ad avere altre relazioni significative oltre a quelle familiari», ha spiegato in un’intervista Emanuela Confalonieri del Centro di ricerca sulle dinamiche evolutive ed educative dell’Università Cattolica di Milano. Prima di allora le amicizie sono istintive: si scelgono i bambini con cui si gioca meglio. L’amico è complice delle avventure e il rapporto è sacro. A suggellarlo sono spesso segni distintivi comuni: la stessa pettinatura per le bambine, uno stesso finto tatuaggio per i maschietti.
Come cambia l’amicizia
Con l’adolescenza le cose cambiano: «Le scelte sono di carattere elettivo e selettivo: “ti scelgo perché se ti dico una cosa la capisci”», continua Confalonieri. Certo non tutti gli amici sono uguali. Secondo la sociologa americana Jan Yager possiamo distinguere tre categorie: gli amici casuali, cioè quelli che scegliamo per semplice affinità e con cui chiacchieriamo e condividiamo qualche semplice hobby ma a cui non facciamo confidenze, gli amici intimi, quelli che ci danno conforto e con cui ci permettiamo di essere noi stessi fino in fondo, e i migliori amici, i più intimi tra gli amici intimi. Mediamente ognuno di noi può avere anche 30 o 40 amici casuali, mentre quelli intimi raggiungono al massimo la decina, anche se una ricerca pubblicata diversi anni fa dall’American Social Review stabiliva che questo numero è in genere molto inferiore: gli amici veri possono essere al massimo due. Il migliore amico invece, per definizione uno solo, è qualcosa di ancora diverso: più simile a un fratello di sangue e, sempre secondo la stessa ricerca, nel 40 per cento dei casi coincide con il partner. «La collocazione di una relazione di amicizia in una di queste tre categorie», mi ha spiegato Paola Di Nicola, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’università di Verona, «viene determinata in base ad alcuni indicatori come la frequenza con cui ci si vede e il tempo che si passa insieme. Fattori che variano in base all’età e ai contesti culturali».
Condividere lo stress per essere amici
Ad ogni modo l’importanza dell’amico è indiscussa, specie per il singolo individuo. Secondo Willard W. Hartup, professore emerito presso l’Institute of child development dell’Università del Minnesota (Usa) e tra i più importanti studiosi delle relazioni amicali, essa consente di accedere alla conoscenza dell’altro e di se stessi, è un luogo di sperimentazione delle relazioni sociali e nel caso dei bambini e degli adolescenti prepara alle future relazioni di intimità con un partner. «In pratica», mi ha detto Paola Corsano, psicologa presso l’Università degli studi di Parma che da tempo si occupa degli aspetti socio-emotivi dello sviluppo, «un amico costituisce una persona in cui rispecchiarsi e da cui differenziarsi, aspetto fondamentale per i processi di identità in qualsiasi fase della vita. L’amico ci affianca nei momenti di svago, importanti per la psiche, ma ci sostiene anche nelle difficoltà e nelle scelte importanti». Pare infatti che siano proprio i momenti più difficili a cementare i rapporti: le amicizie più profonde, secondo diversi studi, sono quelle che nascono in condizioni di stress. Ad esempio i rapporti tra gli ex commilitoni del Vietnam, oggetto di numerose ricerche, sono durati anche più di vent’anni.