Un venerdì sera del 1983 un uomo e la sua compagna viaggiavano in auto. Mentre lei sonnacchiava, lui ripensava al lavoro che aveva lasciato in sospeso nel suo laboratorio: uno studio sul dna. «I suoi pensieri saltellavano da una parte all’altra come cuccioli festosi», racconta Srini Pillay, psichiatra della Harvard Medical School (Usa) e autore del recente Il potere del cazzeggio (Centauria). «All’improvviso, ebbe un’intuizione. Si fermò a bordo strada e iniziò a raccogliere le sue idee frammentarie». Da quel momento la scienza non sarebbe più stata la stessa: quell’uomo era infatti Kary Mullis, il biochimico che dieci anni dopo si sarebbe aggiudicato il premio Nobel per aver compreso alcuni aspetti fondamentali per la sintetizzazione del dna.
Sogni a occhi aperti
Gli studiosi dei processi cognitivi chiamano questa particolare forma di divagazione mentale mind wandering: «Si tratta di un modo di vagare con al mente che parte spesso da elementi della realtà esterna e che procede per associazioni di idee», mi ha spiegato Manila Vannucci, docente di Psicologia dell’attenzione all’Università di Firenze. Spesso questa particolare forma di distrazione prende la forma di una sorta di sogno a occhi aperti: un po’ come quando, durante una conferenza noiosa, ci perdiamo tra le nostre fantasticherie. «Questo vagare con la mente può avvenire in modo spontaneo o intenzionale». Con il mind wandering ci allontaniamo dal compito che stiamo svolgendo (seguire la conferenza, nel nostro esempio) per guardarci dentro, richiamando alla memoria dati autobiografici o pensieri. «Le catene associative prodotte dal mind wandering sono imprevedibili e non finalizzate a uno scopo. Questa modalità libera di pensiero, quando è messa in atto in modo intenzionale, può favorire la creatività». Proprio Vannucci con il suo gruppo di ricerca, in collaborazione con altre università internazionali, sta studiando questa funzione mentale: «Lo stiamo facendo anche in laboratorio per mezzo di esperimenti con cui induciamo il mind wandering in partecipanti impegnati in compiti monotoni, come premere un pulsante ogniqualvolta compare su uno schermo una certa forma», spiega. Ricerche come queste stimano attorno al 30-50 per cento il tempo impiegato nell’arco di una giornata a “viaggiare con la mente”.
Troppi impegni limitano la creatività
Non è un caso che le attività scelte per stimolare il mind wandering sono, negli studi di Vannucci, monotone: è proprio nei momenti di scaso impegno cognitivo che ci lasciamo più spesso andare al pensiero libero. Proprio su questo tema Andrew Smart, già ricercatore alla New York University, ha scritto il suo In pausa. Come l’ossessione per il fare sta distruggendo le nostre menti (Indiana) in cui descrive la cosiddetta “rete neurale di default”, un circuito cerebrale che si attiva quando non siamo concentrati su nulla e che sarebbe dunque amico della creatività. Tuttavia oggi le nostre agende fitte di impegni e la costante paura di distrarci stanno sempre più spegnendo questa naturale e sana tendenza al cazzeggio. Così però la nostra fantasia si impoverisce.
L’articolo completo su Airone, febbraio 2018