Sì, lo ha chiarito uno studio del 2009 pubblicato sullo Spanish Journal of Psychology e condotto da Itziar Etxebarria dell’Università dei Paesi Baschi. Sulla base di questionari, è stato possibile misurare l’entità del senso di colpa provato da uomini e donne in diverse situazioni. «Questa differenza è particolarmente rilevante nella fascia di età tra i 40 e i 50 anni», spiega Etxebarria. Secondo gli esperti il maggiore senso di colpa provato alle donne sarebbe legato alla paura di fare del male agli altri, meno presente nei maschi. «Questo potrebbe dipendere dall’educazione, che ancora oggi pone più aspettative sulle donne», continua la studiosa spagnola. Crescere in ambienti in cui sono forti le aspettative familiari e il rispetto delle regole predispone a sentimenti di colpa anche importanti. Ma conta anche la sensibilità: «Le persone sensibili sono più attente a prendere in considerazione i sentimenti e i vissuti dell’altro», mi ha spiegato Luca Saita, psicologo e autore di Liberarsi dai sensi di colpa (Franco Angeli), «e quindi a prendere per buoni i sentimenti dell’altro anche quando sono solo simulati».
Quando fa bene, quando fa male
Certo il senso di colpa è un sentimento umano: già nel 2007 uno studio condotto dallo psicologo della New York University (Usa) David M. Amodio illustrava, sulla base di esperimenti di laboratorio, che esso ha un ruolo sociale: ci trattiene dal commettere azioni riprovevoli migliorando la tenuta psicologica della comunità. «È un bene che il senso di colpa esista, altrimenti nessuno si sentirebbe più in dovere di rispettare regole e divieti e la società cadrebbe nell’anarchia totale», aggiunge Saita. Certo a volte può essere eccessivo, spesso quando è frutto del ricatto morale. «Chi adopera il senso di colpa in modo consapevole per manipolare la sensibilità affettiva e le azioni di un altro deve avere un forte ascendente su di lui», mi ha detto lo psicoterapeuta Nicola Ghezzani. In questi casi dominano l’egoismo e il narcisismo, e la colpevolizzazione avviene per trarre un profitto personale o per il puro gusto sadico di sminuire e danneggiare. La dinamica rispetta sempre un certo copione: quando una persona vuole indurre un’altra a un certo comportamento prima di tutto designa se stessa in ruolo di vittima (“guarda cosa mi stai facendo”), poi fa percepire all’altro che quel suo comportamento ha provocato un danno (“soffro per quello che hai fatto”) dopodiché si chiude in un silenzio di condanna (“disapprovo quello che hai fatto”). Liberarci dal senso di colpa significa quindi saper cogliere il gioco che gli altri stanno proponendo per farci sentire in colpa. Occorre dunque essere un po’ egoisti? «No», conclude Saita. «Quando il dono dell’altro è genuino è sano ricambiare, mentre quando è una manipolazione non ricambiare diventa un gesto d’amore verso noi stessi».
L’articolo completo su Airone, novembre 2016. Altre domande e risposte su I 500 perché. Domande e risposte per tutta la famiglia (Cairo). In libreria.