I contraccolpi del licenziamento

Diminuiscono i licenziamenti dei lavoratori italiani: l’anno scorso i rapporti di lavoro cessati sono stati 841.781, con un calo dell’8,14 per cento rispetto al 2014. I dati vengono dal Ministero del lavoro e fanno ben sperare. Certo l’occupazione resta comunque un problema importante e perdere il posto, nel corso della vita di ciascuno di noi, rappresenta ancora un’eventualità tutt’altro che remota. Bisogna esserne pronti: i contraccolpi psicologici di chi si trova improvvisamente senza lavoro sono notevoli. Recentemente una ricerca svedese ha evidenziato il legame tra un evento traumatico come il licenziamento e l’insorgere di gravi problemi psichici. Condotto da Lena Johansson dell’Università di Goteborg, lo studio ha indagato la relazione tra fattori di stress psicosociali come divorzio e disoccupazione e la possibilità, in particolare nelle donne, di sviluppare una qualche forma di demenza. Gli autori hanno monitorato per quarant’anni 800 lavoratrici di età compresa tra i 38 e i 54 anni registrando, al termine dello studio, 153 casi di demenza fra cui 104 di Alzheimer.

Prima regola: non colpevolizzarsi

Ovviamente questi sono casi estremi, ma certamente tutti di fronte al licenziamento ci chiudiamo in noi stessi, siamo presi da profondo sconforto, proviamo rabbia verso il mondo oppure verso di noi stessi. «Queste emozioni sono il risultato di un lavoro cognitivo inconsapevole che le persone fanno in relazione a se stesse, giungendo spesso ad attribuirsi la responsabilità principale di ciò che è loro accaduto», mi ha spiegato Pier Giovanni Bresciani, presidente della Società italiana di psicologia del lavoro e dell’organizzazione. «Possono presentarsi inoltre comportamenti che esprimono scarsa fiducia in sé, ansia, angoscia, sensi di colpa e vergogna». La disoccupazione può agire come un “detonatore” in quelle persone che già da prima vivevano situazioni psicologiche precarie: «È il caso di molti lavoratori con percorsi professionali frammentari che si impoveriscono ulteriormente proprio con la disoccupazione», spiega lo psicologo. Inoltre vive male il licenziamento chi ha, come spiegano gli psicologi, un locus of control interno: sono quelle persone che tendono ad attribuire a se stesse la causa principale di ciò che accade loro. «Questi soggetti vivono il licenziamento come un fallimento piuttosto che come una contingenza dovuta al mercato del lavoro attuale».

Chi sono i soggetti più a rischio

Un fattore che permette di vivere il licenziamento in modo meno traumatico è invece l’apertura mentale: «Sono maggiormente a rischio i soggetti con personalità rigide, poco disponibili e aperte alla novità, con atteggiamenti di chiusura che possono sfociare in forme di ritiro e disadattamento». Al contrario gli ottimisti sono abituati ad accettare i cambiamenti: è dimostrato ad esempio che l’eccessivo attaccamento all’impiego precedente è un fattore importante nel contribuire a reazioni negative di fronte alla perdita del lavoro. Si tratta di dinamiche ben note anche a chi di mestiere aiuta i lavoratori a reinserirsi. Anche Claudio Soldà, public affairs director dell’agenzia per il lavoro Adecco, mi spiega che le caratteristiche di chi ha maggiore difficoltà a superare positivamente un licenziamento sono proprio la scarsa attitudine al cambiamento, la difficoltà ad adattarsi e ad acquisire nuove competenze. Certamente però anche altre variabili hanno il loro peso: contano il genere (ancora oggi le donne incontrano maggiore criticità), l’età (gli over 50 e i giovani under 24 sono i più svantaggiati), le competenze professionali, il livello scolastico e la durata del periodo di disoccupazione: chi è senza lavoro da più di sei mesi, ad esempio, incontra molte più difficoltà. «Così le persone con più di cinquant’anni, specialmente donne con famiglie che dipendono dal loro reddito, possono risultare le più vulnerabili», precisa Soldà.

L’articolo completo su Airone, ottobre 2016

Un commento

  1. I licenziamenti possono avvenire per tanti motivi differenti. L’articolo è improntato sull’aspetto psicologico ma mi ha messo la curiosità di vedere la percentuale di assunzioni. Per capire (più o meno) quanti di quelli che hanno perso il lavoro hanno poi avuto l’opportunità di trovarne un’altro. Giusto per capire l’andazzo generale.
    Un saluto.

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