1. Quello vanitoso
Tra gli utenti più odiosi c’è chi si vanta in continuazione della propria vita e dei propri successi. Una forma particolarmente fastidiosa di vanto è il cosiddetto humblebrag, come lo hanno battezzato gli americani. Un esempio è un post come questo, trovato online: «Ops, ho appena mangiato quindici cioccolatini. Devo proprio imparare a controllarmi quando volo in prima classe o altrimenti mi annulleranno il contratto da modella». In altre parole ci si vanta nascondendo l’autocelebrazione dietro una finta autocritica: «L’humblebrag», mi spiega Giuseppe Riva, docente di psicologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, «può essere usato dalle personalità narcisistiche per segnalare la propria superiorità senza essere troppo evidenti oppure è un modo per contrastare il disagio provocato dall’invidia: sono deluso ma in realtà anch’io posso cavarmela».
2. Quello che vive di pettegolezzi
È vero, Facebook è la versione digitale del bar sotto casa in cui si chiacchiera di argomenti leggeri. E il pettegolezzo è parte di queste conversazioni. Talvolta però è troppo. «Ai tempi delle chat e dei forum, il mondo online era chiaramente separato dal mondo offline», spiega Riva. «I social media, associando in maniera univoca una persona al proprio profilo, hanno collegato in modo evidente le persone ai comportamenti». Così oggi è più facile fare gossip perché l’identità degli utenti è chiaramente identificabile con la persona in carne e ossa. In compenso, però, la mancanza di fisicità ci fa sentire più liberi di sparlare degli altri.
3. Quello che fa allarmismo
Sono fastidiose le persone che online diffondono informazioni allarmistiche, spesso infondate, alimentando la paura e la “caccia alle streghe”. «Le informazioni false sono particolarmente pervasive sui social network», ha scritto Walter Quattrochiocchi della Northeastern University di Boston (Usa) a commento di un suo studio sui profili Facebook attivi in Italia che ha dimostrato come gli utenti condividano le notizie senza verificarne la fondatezza e accrescendo così il rischio di diffusione di informazioni allarmistiche. I social network si fondano infatti su “catene di credibilità”: normalmente quando non possiamo verificare la veridicità di un’affermazione ci fidiamo se chi ce l’ha riferita è un amico fidato, ma su Facebook questo è molto difficile e così finiamo col fidarci, a prescindere, di tutti i nostri contatti. In questo contesto così vulnerabile, chi alimenta le informazioni infondate non è mai visto di buon occhio.
4. Quello che finge attenzione al sociale
Gli utenti che postano video di sevizie ad animali per “sensibilizzare” contro la violenza fanno un grosso errore: «A prescindere dalla bontà della vostra causa», scrive nel suo blog Guido Saraceni, docente di Informatica giuridica all’Università di Teramo, «non convertirete nessuno pubblicando milioni di contenuti truculenti e facendo a gara a chi spara l’insulto più grosso nei commenti. Non si combatte la violenza con la violenza (verbale), soprattutto quando le parole sono scritte su Facebook. Se amate davvero le vittime, evitate di vituperarne quotidianamente la dignità».
5. L’aggressivo a parole
Quante persone nella vita di tutti i giorni sono mansuete e remissive mentre dietro il monitor tirano fuori il peggio di sé! In molti casi utilizzano la rete per commentare in modo forte e offensivo gli aggiornamenti di status degli altri, non di rado di politici o persone famose. «Il problema, soprattutto per chi, meno giovane, era abituato alla separazione tra online e realtà tipica del mondo delle chat e dei forum, è la fusione tra reale e digitale», spiega Riva. «Nella vita offline la relazione con i conoscenti è di solito regolata da ruoli: sono docente con i miei studenti, sono genitore con i genitori degli amici di mia figlia, sono tifoso quando vado allo stadio. In ogni contesto mi comporto in maniera corretta seguendo delle regole. Con i social network invece sono sempre sia docente, sia genitore, sia tifoso. Possono quindi nascere dei problemi se su Facebook mi comporto da tifoso, dimenticandomi di avere il mio capo come amico». Senza più distinzioni di ruoli l’aggressività che in un certo contesto è accettabile, in altri può essere fuori luogo.
L’articolo completo su Airone, luglio 2016