In palestra all’una di notte, cornetto e cappuccino alle due e la spesa alle quattro del mattino: uno scenario a cui l’immaginario dei film americani ci ha abituati, ma che è sempre più comune anche in Italia. Da qualche tempo sono sorti anche da noi negozi aperti 24 ore su 24: un esempio sono i supermercati Carrefour, insegna francese presente nelle maggiori città con orari non stop, 365 giorni l’anno. A Roma, Milano, Firenze e in altri capoluoghi sono inoltre attivi asili dove lasciare i bimbi di sera e di notte così come centri benessere e palestre per nottambuli, come le Fit Express e le 20Hours. Accanto alle battaglie sindacali che mettono in luce l’obbligo per i dipendenti di lavorare di notte, tradizionalmente tempo privato e dedicato al riposo, si sono moltiplicate le crociate di alcuni giornali. In uno speciale, Repubblica ha puntualizzato: «La grande distribuzione impone nuovi modelli di consumo e in molti devono adeguarsi. Così sono i lavoratori a pagarne le conseguenze pur di non perdere il posto». Anche sociologi e antropologi hanno detto la loro: «Questa formula mina le tradizionali distinzioni tra giorno e notte, tra luce e buio», ha scritto ad esempio Jonathan Crary, docente alla Columbia University e autore di 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno (Einaudi), «e genera l’illusione di un tempo privo di attesa, di un’istantaneità on demand».
Tempo, risorsa scarsissima
La sociologa Carmen Leccardi dell’Università di Milano-Bicocca, autrice di Sociologie del tempo (Laterza), mi fa notare come il fenomeno abbia due facce: «Da un lato le aperture continuate garantiscono maggiore libertà, permettono alle persone di riappropriarsi del loro tempo e di gestire in autonomia le proprie giornate. Dall’altro però rappresentano una forma di coercizione temporale che caratterizza la modernità». I sociologi sono concordi a definire la nostra una società dell’accelerazione, in cui il tempo è vissuto come scarso e dunque come risorsa preziosissima. Non riuscendo a concludere i nostri impegni durante la giornata, invadiamo la notte: «Penso ad esempio alle mamme che, a causa dei numerosi impegni quotidiani, utilizzano la notte per ritagliarsi uno spazio per sé», aggiunge Leccardi. Così la colonizzazione della notte è una necessità che, dietro la libertà apparente, nasconderebbe l’evidenza della mancanza di tempo.
Segno di progresso?
Resta il fatto che secondo le statistiche una società che non dorme è una società ricca: «Olanda e Canada», ha detto lo psicologo del lavoro Enzo Spaltro, «sono oggi i Paesi nei quali il lavoro notturno, ma anche festivo, è più diffuso». Ma non lasciamoci ingannare, l’utilizzo della notte può essere anche segno di arretratezza economica, almeno quando il lavoro notturno non è una scelta dettata dagli stili di vita ma una triste necessità: «Chi viaggia in India si rende conto che la distinzione tra giorno e notte spesso salta, con i numerosi operai costretti a lavorare anche dopo il calare del sole per guadagnarsi da vivere», conclude Leccardi. Un rovescio della medaglia che è segno di condizioni di vita ancora molto diverse dalle nostre.
Come cambia il lavoro notturno. Un tempo i lavoratori notturni erano solo medici, infermieri e chiunque fosse costretto al lavoro oltre il calare del sole. Oggi è diverso: «Negli ultimi anni sono cambiate le mansioni svolte di notte», ha spiegato in un’intervista Carolyn Schur di Alert@Work, società canadese di consulenza per il lavoro notturno. «Cala quello meccanico, che ora è svolto dalle macchine, e aumenta quello nella finanza, nei trasporti, nelle vendite e nel divertimento». Anche la globalizzazione ha un peso notevole: «Pensiamo alle interazioni commerciali sempre più diffuse tra Paesi ai due capi del globo, che impongono di essere operativi quando in un continente è notte», precisa Leccardi.
L’articolo completo su Airone, maggio 2016