I biglietti dei mezzi pubblici aumentano ma non vogliamo usare (o non abbiamo) l’auto privata? C’è il car sharing: tramite una app si individua l’auto pubblica più vicina (un celebre servizio è quello offerto da Car2Go, foto) e la si usa liberamente in città. Il costo sarà a tempo, saldato tramite carta di credito. Serve un utensile per una riparazione in casa ma costa troppo comprarlo per usarlo una sola volta? Basta noleggiarlo da chi lo ha comprato ma lo tiene inutilizzato in cantina, ad esempio su LocLoc: questo portale di noleggio tra privati è tutto italiano, ma è molto amato negli Usa.
Un cambiamento radicale
Benvenuti nell’era della sharing economy, l’economia della condivisione: un nuovo modo di risparmiare e condividere ciò che abbiamo, riducendo gli sprechi. Complice la crisi e un rinnovato interesse all’utilizzo oculato delle risorse, la sharing economy ha riportato in auge il commercio dell’usato, le cose fatte in casa, il riutilizzo, lo scambio, il baratto e la ripartizione dei costi tra utenti accomunati dagli stessi bisogni. Come ha sottolineato un recente studio sul tema pubblicato dall’Economist non è infatti una coincidenza se molti servizi di questo tipo hanno iniziato a diffondersi tra il 2008 e il 2010, cioè agli albori della crisi globale. «Alcuni vedono la condivisione come un antidoto post-crisi al materialismo e al consumismo», spiegano gli autori.
Cosa si può condividere
1. Fare la spesa. 123 lattine di pelati oppure 817 uova. A tanto (circa 50 chili) ammonta annualmente lo spreco medio di cibo ancora buono che, per eccesso di acquisti, una famiglia italiana trasferisce dalla dispensa al cestino senza passare dalla tavola. Ad aprire la strada è stata la Germania con foodsharing.de, due anni fa. L’idea è semplice: tramite il sito ci si mette in contatto tra chi offre e chi ha bisogno. Anche in Italia qualcosa si muove: c’è ad esempio SCambiaCibo, una sorta di dispensa collettiva di generi alimentari creata dalla collaborazione tra gli utenti. Breading è invece una app gratuita per iOs e Android che combatte lo spreco di pane. E poi ci sono FameZero, Ratatouille, FrigOk.
2. Mangiare fuori. Cenare in compagnia, come al ristorante, ma a casa. Il portale più noto di social eating in Italia è Gnammo, nato nel 2012, che a oggi conta circa 40mila iscritti di cui quasi 4mila hanno già provato a cucinare o a mangiare insieme. Il fenomeno ricalca quello dei cosiddetti underground restaurant, riunioni informali di persone che si ritrovano per cucinare e mangiare a pagamento come al ristorante, ma presso un’abitazione privata. «Gnammo non fa altro che renderlo più adatto al web», mi ha raccontato Walter Dabbicco, responsabile marketing e comunicazione. Su ogni coperto Gnammo trattiene una commissione del 12 per cento. Le città più attive sono Torino, Milano, Roma e Bari e nella maggior parte dei casi l’utente è una donna tra i 35 e i 50 anni appassionata di cibo e tendenze alimentari. «Siamo certi che i prossimi mesi saranno quelli dell’esplosione del fenomeno della sharing economy», aggiunge Dabbicco. «Lo stiamo vivendo su Gnammo: ogni mese i posti prenotati sono il doppio di quelli del mese precedente».
3. Muoversi. Viaggiare a prezzi bassi, ridurre l’impatto ambientale e magari fare nuove amicizie. «La community di BlaBlaCar conta 10 milioni di iscritti nei 18 Paesi in cui il servizio è attivo», mi ha detto Andrea Saviane, country manager Italia. Il funzionamento è semplice: dal proprio profilo si sceglie il percorso (a oggi le tratte più battute in Italia sono quelle che collegano le grandi città come Milano, Bologna, Roma, Napoli e Venezia) e si individua il passaggio che ci interessa. È possibile avere informazioni aggiuntive come la disponibilità del guidatore a trasportare animali e a fumare, a conversare o a effettuare tappe intermedie. In pratica è il vecchio autostop, ma senza la noia di stare per strada e con in più la possibilità di conoscere le valutazioni di chi ci ha preceduto sulla qualità della guida dell’autista o anche solo sulla sua simpatia. «Anche per questo BlaBlaCar, come numerose altre realtà della sharing economy, nei prossimi anni avrà grandi opportunità di sviluppo e crescita», conclude Saviane.
4. Alloggiare. Il couchsurfing è una pratica che consiste nello scambiarsi ospitalità tra viaggiatori, permettendo così a persone che non si conoscono di muoversi per il mondo senza costi di alloggio. Il termine è stato coniato dall’americano Casey Fenton che nel 2003 diede vita all’omonimo portale grazie al quale giovani (e meno giovani) di tutto il mondo contraccambiano l’ospitalità cedendo un divano (da cui il termine couch), un posto letto in più o semplicemente un giardino dove piantare una tenda. Da allora milioni di persone di tutto il mondo hanno fatto uso di questo strumento e i numerosi siti dedicati. Oggi esistono portali dedicati a questa pratica di condivisione e alloggio a costi ridotti, spesso alternative a portali come Airbnb che offre invece intere stanze o appartamenti in affitto tra privati, bypassando hotel e affittacamere professionisti.
L’articolo completo su Airone, aprile 2015. Altre domande e risposte su I 500 perché. Domande e risposte per tutta la famiglia (Cairo). In libreria