Non si dicono le bugie: ce lo ripetono da quando siamo piccoli e da adulti finiamo col crederci. O quanto meno col convincerci che mentire sia sempre sbagliato. E infatti la tenenza a mentire è ben radicata in noi sin da bambini: già dai tre anni siamo capaci di farlo. A dimostrarlo è stato un paio di anni fa un articolo firmato dai ricercatori canadesi Angela D. Evans e Kang Lee, rispettivamente della Brock e della Toronto University e pubblicato su Developmental Psychology. Dopo aver chiesto a 65 bambini di due e tre anni di non guardare un giocattolo posto davanti a loro mentre uno sperimentatore non li osservava, gli studiosi hanno notato che la maggioranza dei bimbi più piccoli ammetteva senza problemi di aver trasgredito al contrario dei più grandi che invece tendevano a mentire.
Bugiardi sin da bambini
«Mentire è inevitabile», mi ha raccontato Serena Mastroberardino, ricercatrice presso il Laboratorio di neuroimmagini funzionali della fondazione Santa Lucia a Roma e autrice di Psicologia della menzogna (Carocci), «già molto piccoli impariamo a manipolare con il finto pianto i nostri genitori per soddisfare il bisogno di vicinanza. E non appena maturiamo le capacità linguistiche spesso iniziamo a mentire su piccole cose senza motivo». Una volta adulti continuiamo a mentire e lo facciamo per tutta la vita: al lavoro, in coppia, con gli amici. Così non è un caso che la menzogna possa affascinare: magari quella seriale, criminale ed eroica che ci appassiona nei film, come testimonia il buon successo di The Imposter (video), documentario inglese uscito nelle sale italiane lo scorso anno in cui si racconta la storia di Frédéric Bourdin, impostore seriale figlio di madre francese e padre algerino che si calcola abbia cambiato identità più di 500 volte nei suoi soli quarant’anni di vita.
Mentire è arte
Ma se la vicenda del Camaleonte (questo il soprannome che Bourdin si è valso in diciassette anni di carriera criminale) è accaduta realmente, anche le storie nate dalla creatività di romanzieri e sceneggiatori sono pure imparentate con la menzogna. Albero Priori, professore associato di Neurofisiologia alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Milano che nel 2007 condusse uno studio sul tema in collaborazione con l’Università di Padova, mi dice: «Inventare una trama plausibile per un romanzo è in fondo un po’ come mentire, e non a caso esiste un continuum neurologico tra le funzioni adibite alla menzogna e quelle che presidiano le abilità creative».
200 bugie al giorno
Così non ci è difficile raccontare frottole, che sia per inventarci alibi o solo per difenderci. Secondo l’indagine Gli italiani e le bugie realizzata da Astra/Demoskopea nel 2005 il 45 per cento degli italiani di età compresa fra i 15 e i 79 anni mentiva cinque volte al giorno. E c’è da giurare che la tendenza a quasi dieci anni di distanza non sia in calo: «Lo facciamo spesso, anche se in modo inoffensivo», ha spiegato l’americana Pamela Meyer, autrice del bestseller Liespotting (“Scovare le bugie”). Le piccole menzogne sono un toccasana nei rapporti interpersonali. In una ricerca sulle bugie bianche, ovvero innocue, che diciamo quando siamo insoddisfatti da un acquisto, Jennifer Argo e Baba Shiv delle università dell’Alberta e di Stanford (Usa) illustrano infatti che l’85 per cento dei clienti dei ristoranti ammette di mentire quando, dopo una cena non soddisfacente, il cameriere va al tavolo per chiedere se i piatti sono stati di loro gradimento. «Ci convinciamo che lamentarci sarebbe spiacevole o che non ne varrebbe la pena», spiega su Psychology Today lo psicologo Guy Winch a commento dello studio. Insomma, tacciamo pur di non compromettere i rapporti sociali…
L’articolo completo su Ok Salute e Benessere, febbraio 2015