Una distesa colorata che ha però ben poco di festoso: è quella formata dalle magliaia di ombrelli che hanno difeso dal sole cocente, dai gas lacrimogeni e dagli spray urticanti la folla di manifestanti riunitasi, a fine settembre, nelle strade di Hong Kong per chiedere al governo cinese di instaurare una vera democrazia nell’ex colonia britannica. Le immagini che hanno ritratto gli ombrelli colorati a difesa degli attacchi della polizia hanno fatto il giro del mondo, tanto da aver spinto i giornalisti a soprannominare la sommossa “Rivoluzione degli ombrelli” e Kacey Wong, artista e docente alla Polytechnic University di Hong Kong, a indire un concorso di idee per creare un logo del movimento ispirato al simbolo dell’ombrello.
Perché porta sfortuna
Del resto nella sua semplicità questo oggetto rappresenta bene il desiderio di protezione (a questo ad esempio fa riferimento la metafora dell’ombrello nella celeberrima Umbrella di Rhianna) ma anche di difesa da ciò che di incontrollabile e pericoloso viene dall’alto, come le precipitazioni o i soprusi del potere: «Da un lato c’era la brutalità della polizia, dall’altro questi semplici ombrelli», ha detto Wong in un’intervista alla Bbc. Riparando, l’ombrello mette in evidenza la fragilità di chi sta sotto: è per questo che ancora oggi aprirne uno in uno spazio chiuso è considerato di cattivo presagio. Nel Medioevo, infatti, i sacerdoti che impartivano l’estrema unzione ai malati in fin di vita posizionavano un grande ombrello nero sopra il letto del moribondo: era un modo per segnalare la protezione divina.
Da status symbol a oggetto quotidiano
Ma non solo: grandi ombrelli venivano usati anche a mo’ di baldacchino per riparare dal sole i religiosi in processione, ma allo stesso tempo per sottolinearne l’importanza. «Prima che dal sole e dalle intemperie l’ombrello è sempre stato infatti un oggetto sacro e cerimoniale», mi ha spiegato Bruna Giop, dal 1985 curatrice del Museo dell’ombrello e del parasole di Gignese (Verbano Cusio Ossola), unico caso in Italia di spazio dedicato alla storia di questo oggetto. Nell’Ottocento oltre che a riparare dalla pioggia, l’ombrello serviva a mostrare lo status sociale: «In fondo la moda è sempre nata sempre come superamento della funzionalità dell’indumento», spiega Patrizia Calefato, semiologa all’Università di Bari. «Le scarpe, ad esempio, non servono solo a proteggere i piedi ma sono anche simboli sociali e strumenti per comunicare lo status».
Quasi tutti made in China
Oggi invece l’ombrello ha perso questa funzione per diventare semplicemente pratico ed economico. Secondo le stime che mi fornisce Matteo Manenti, amministratore delegato di Perletti, azienda bergamasca tra i principali produttori italiani, in Italia si vendono dai 15 ai 18 milioni di ombrelli ogni anno. Tantissimi, perché il contesto economico fa sì che siano quelli usa e getta i più venduti, soprattutto dagli ambulanti durante le giornate di pioggia. Oggi in Italia solo l’1 per cento dei pezzi venduti è prodotto nel nostro Paese: gli altri sono quasi tutti realizzati in Cina, dove costruirli costa dalle 10 alle 20 volte meno.
Quello tecnologico
Ma niente al confronto dei prototipi high tech attualmente allo studio. Rolf Hut della University of technology di Delft (Olanda) ha ideato un prototipo di ombrello in grado di percepire e analizzare le gocce che cadono sulla sua superficie e di inviare i relativi dati a un server centrale. «Oggi non si misura più la piovosità al suolo come si faceva un tempo perché è troppo costoso mantenere in funzione i dispositivi necessari», ha spiegato. Così per raccogliere queste informazioni Hut ha pensato di sfruttare i passanti con i loro ombrelli: più semplice ed economico.
L’articolo completo su Airone, novembre 2014