Confessatelo: la promozione del collega o il vicino di casa che gira il mondo mentre voi restate in città a lavorare non vi lasciano indifferenti. Nessuno è immune dall’invidia, specie quando auguriamo all’amico sempre in vacanza due settimane di pioggia costante. Ma per fortuna c’è il rovescio della medaglia: la sfida, secondo gli psicologi, è infatti quella di limitare la nostra invidia evitando di trasformarla in qualcosa di distruttivo. Richard Smith, psicologo dell’Università del Kentucky (Usa), fa una distinzione tra invidia benigna e maligna: «L’invidia benigna si chiama emulazione», mi spiega Valentina D’Urso, docente di psicologia generale all’Università di Padova e autrice di Otello e la mela. Psicologia della gelosia e dell’invidia (Carocci). «È un sentimento che attiva condotte sane e creative di competizione e di miglioramento: se l’invidia è diretta al bene può costituire infatti una spinta efficace per lavorare fino a ottenere quel bene».
Far fronte ai limiti
Senza sacrifici non raggiungiamo i nostri obiettivi: non è allora un caso che per il Cristianesimo l’invidia sia uno dei sette vizi capitali. «Nella nostra lingua», spiega il sociologo Paolo De Nardis ne L’invidia. Un rompicapo per le scienze sociali (Meltemi), uno dei più importanti saggi italiani sul tema, «il significato del termine comunemente riposa nel rammarico e nel risentimento che si prova, guardando di sbieco (dal latino invidere), per la felicità, il benessere e il successo altrui. L’invidioso soffre una grossa pena: soffre il desiderio frustrato di tutto ciò che non si è potuto raggiungere come obiettivi».
È più invidiato il vicino di casa della star
Ma invidiare chi è molto più bravo, bello o famoso, come le celebrità, sarebbe il meno. Molto peggio è quando questo accade con chi ci sta vicino: amici, colleghi d’ufficio, compagni di studio. Smith ha condotto alcuni anni fa uno studio in merito: a un gruppo di studenti era stato mostrato un video con protagonisti due ragazzi, uno vincente e l’altro “nella media”, che al termine della sequenza erano costretti ad abbandonare gli studi. Risultato: la cattiva sorte del ragazzo vincente generava maggiore soddisfazione negli spettatori. Un senso innato di giustizia che ci porta a desiderare che chi ha tanto non ottenga più di chi ha poco? «Nella Schadenfreude, cioè il piacere che nasce dall’assistere alla sofferenza di chi invidiamo, può essere presente un sentimento di equità violata», precisa D’Urso. «Tuttavia ciò che domina è l’ostilità e il dispetto per chi “indegnamente” gode di un certo bene. Come già osservava Aristotele nella sua Etica Nicomachea, infatti, se l’invidia per le persone lontane è generica e spersonalizzata, quella per il prossimo è acuta». Non a caso l’invidia più dolorosa nasce dal confronto perdente con una persona che ci supera in un ambito che per noi è importante, un confronto tanto più forte quanto le persone invidiate sono simili a noi come condizioni di partenza.
Il luogo a maggior tasso d’invidia? Il posto di lavoro. L’associazione Il Nodo Group, impegnata nello studio delle relazioni umane nei contesti lavorativi, ha illustrato le implicazioni di questo sentimento sulla produttività: «Al lavoro», mi hanno spiegato Daniela Vandoni e Mario Perini presidente e direttore scientifico dell’associazione ed entrambi psicoterapeuti, «l’invidia è generata dal confronto sociale tra chi è o si sente pari. In parte è inevitabile, tuttavia la competizione esasperata può mettere in ombra il ruolo del gruppo, con conseguente calo di produttività».