Lo scorso anno in Italia lavoravano un milione e 803mila giovani tra i 15 e i 34 anni in meno rispetto al 2008. A gennaio di quest’anno il tasso di disoccupazione ha toccato quota 13 per cento, il dato peggiore dal 1977. I numeri della crisi vengono dalle rilevazioni Istat, secondo cui un milione e 800mila persone che hanno perso o non hanno mai avuto un lavoro hanno persino rinunciato a cercarlo. Questo dato cresce a ritmo impressionante: +11,6 per cento nel corso del 2013. «In Europa l’Italia vanta il triste primato degli scoraggiati, soprattutto tra i giovani», mi ha spiegato Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro alla Bocconi di Milano. «Certamente influisce l’inefficienza degli strumenti pubblici per accompagnarli al lavoro, che spinge i meno intraprendenti a restare a carico delle famiglie».
Superare il confine non deve far paura
Ma la colpa non è solo dei centri per l’impiego: «In Italia siamo troppo inclini alla sfiducia e ci dimentichiamo dei tantissimi giovani che, anche in tempi di crisi, un lavoro lo hanno trovato a costo di andare lontano da casa», aggiunge. Secondo uno studio condotto su quasi 14mila persone alla ricerca di un posto di lavoro da Anthea Consulting e dal sito Monster.it, quasi il 70 per cento dei neolaureati e dei giovani professionisti è disposto a trasferirsi all’estero per trovare un posto, dato che scende al 56 per cento per i professionisti già affermati. Ottimo quindi guardare all’estero senza lanciare invettive contro la cosiddetta fuga dei cervelli «a patto», precisa però Del Conte, «che anche l’Italia diventi attrattiva per i talenti stranieri».
Lavori in evoluzione
E a patto che impariamo a essere competitivi, scegliendo una formazione (e quindi un lavoro) vendibile in un’epoca di grandi trasformazioni. Scrive Erik Brynjolfsson della Mit School of management (Usa) nel saggio The second machine age: «Chi vuole difendersi dai robot deve puntare su lavori nei quali l’essere umano ha ancora un grosso vantaggio sulle macchine: quelli che richiedono empatia, creatività, capacità di negoziazione». Nei prossimi 12 anni si apriranno infatti, solo in Europa, 114 milioni di posizioni al ritmo di 9,5 milioni l’anno, perlopiù di alto o di basso profilo: chi ha competenze intermedie, soprattutto se di routine, dovrà investire in formazione. A questo proposito, ecco un mio intervento sul futuro dei lavori creativi e sulla mia esperienza di lavoro in team con UAU Studio.
Resisteranno fabbri ed esperti di finanza
I dati vengono dal Cento europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop). «Metà dei lavori di oggi spariranno nel giro di vent’anni», fa notare Erik Sherman sul sito di Aol, la multinazionale Usa dei mass media. Il motivo è semplice: nei prossimi vent’anni verrà automatizzato il 45 per cento dei lavori oggi esistenti negli Stati Uniti. A sparire per primi saranno quindi i lavori ripetitivi, sia manuali (operai generici) che intellettuali (inserimento dati o impiegati di basso profilo, ad esempio). I lavori più promettenti? Ingegneri, esperti di finanza, informatici ma anche fabbri e ristoratori. Una cosa però è certa: i nuovi lavori dovranno essere remunerati in base alla qualità che ciascun lavoratore sarà in grado di portare al proprio lavoro, e sempre meno in termini di ore lavorate. Ma per questo occorre che le legislazioni facciano un passo in avanti.
L’articolo completo su Airone, aprile 2014