Le stranezze della memoria

memoriaAlcuni passanti sono testimoni di una colluttazione tra un automobilista mingherlino e un camionista. A spuntarla è il primo. Interrogati a distanza di qualche giorno, gli spettatori involontari ricordano (errando) che ad avere la meglio è stato il camionista. Il motivo? Sono stati ingannati dalla memoria, complici gli stereotipi. In altre parole, non ricordando esattamente come sono andate le cose, la maggior parte dei testimoni riempie involontariamente le lacune della propria memoria con supposizioni e luoghi comuni (il camionista è più forte del gracile automobilista). Generando così quelle che i neurologi chiamano false memorie.

Dettagli inventati…

Di situazioni come queste gli studiosi ne hanno riprodotte a decine, nel corso degli studi sulle facoltà cognitive condotti da trent’anni a questa parte, arrivando alla conclusione che la memoria non registra gli eventi ma li interpreta. «Alcuni pazienti affetti da disturbi della memoria», spiega Fabrice Guillaume del Laboratorio di psicologia cognitiva all’Università Aix-Marseille (Francia), «forniscono persino descrizioni dettagliate di conversazioni immaginarie con personalità che non hanno mai incontrato». Ma come è possibile? «In alcune situazioni», mi ha detto in un’intervista Manila Vannucci, psicologa all’Università di Firenze e autrice di Quando la memoria ci inganna. La psicologia delle false memorie (Carocci), «sono le nostre aspettative a indurre falsi ricordi, ad esempio portandoci ad aggiungere dettagli plausibili ma inesistenti».

I blackout della memoria

Non siamo dei computer

La memoria non funziona infatti come quella di un computer. Quella informatica è molto semplice: manipola quantità relativamente scarse di informazioni e quando si cancella un file lo spazio vuoto viene occupato da altri dati. «Nel cervello invece i ricordi svaniscono quando la materia grigia si riorganizza», spiega François S. Roman del Laboratorio di neuroscienze integrative e adattative all’Università Aix-Marseille (Francia). A livello cerebrale, infatti, i ricordi non sono altro che alterazioni del funzionamento elettrico: «Prima che si formino, infatti», prosegue lo studioso, «nelle reti neurali l’elettricità circola in maniera casuale. Quando il ricordo si forma, la circolazione dell’elettricità migliora in un preciso settore della rete, destinato a differenziarsi da quelli che l’informazione da memorizzare non ha attivato».

La memoria dello studente

Insomma, i ricordi non hanno una sede specifica. Per questo la memoria è ribelle, ad esempio quando capitano quei vuoti di memoria che gli studenti conoscono bene: «Si tratta di un fenomeno molto comune», ha spiegato in un’intervista Vincenzo Cestari, associato di ricerca presso l’Istituto di neuroscienze del Cnr e docente alla Lumsa di Roma. Nella memorizzazione di un’informazione un ruolo fondamentale gioca infatti il contesto in cui essa viene acquisita: «Se ci troviamo in condizioni simili a quelle in cui abbiamo studiato è più facile recuperarla», aggiunge Cestari. Il che ovviamente non avviene quando uno studente è di fronte al professore, in un luogo ben diverso dalla stanza dove ha preparato l’esame.

Facciamo come i camerieri

Come aiutare la nostra memoria, quindi? I consigli si sprecano, in questi casi. Sicuramente per i deboli di memoria ci sono appunti e agende, ma con qualche limite come spiego qui. Meglio invece contare sulle associazioni mentali, processi che avvengono naturalmente nei bambini ma anche nei campioni di memoria. A confermarlo uno studio pubblicato da Nature secondo cui la supermemoria non dipende da aree cerebrali ipersviluppate ma da strategie di apprendimento. Tutti insomma possiamo migliorarla, è sufficiente volerlo e metterci un po’ di passione: se una cosa ci interessa la probabilità di ricordarla in modo dettagliato è sicuramente più alta. Ecco perché solo i camerieri veramente motivati a fare il proprio lavoro non hanno alcuna difficoltà a memorizzare gli ordini senza annotarli.