Chiamare un appunto a penna pizzino come i messaggi in codice del boss Bernardo Provenzano. Definire tesoretto i nostri risparmi come il compianto ex ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa chiamò l’extra gettito fiscale raccolto con la lotta all’evasione, oppure think tank, “serbatoio di pensieri”, una semplice riunione. Complici i media, sono oggi molte le parole diventate di moda con cui abbelliamo il nostro linguaggio. Parole però di cui spesso perdiamo di vista il significato originale. Lo dimostra Google: il suo Zeitgeist (“spirito del tempo”), annuale report che elenca le parole più ricercate in rete, contiene una sezione dedicata alle parole di cui gli utenti cercano maggiormente il significato. Le più gettonate nelle ultime edizioni dell’indagine? Proprio quelle che rimbalzano di bocca in bocca grazie alla tv: metrosexual e spread tra gli altri. Parole che in molti casi hanno assunto significati metaforici, come esodati: nato per indicare chi ha perso il lavoro troppo presto per aver diritto alla pensione, è oggi usato per definire chiunque venga espulso da un ambito sociale.
Impossibile modificare la lingua
«Ripetere parole sentite in tv è una moda», conferma Lorenzo Renzi, linguista all’Università di Padova autore del recente Come cambia la lingua. L’italiano in movimento (Il Mulino). Come dire: tutti dicono di stringere sinergie e di provenire da un certo tipo di retroterra culturale, quindi lo facciamo anche noi. Per non essere da meno o per darci tono. Spesso si tratta di termini inglesi, e questo può creare confusioni: il giornalista del Corriere della Sera Beppe Severgnini in L’italiano. Lezioni semiserie (Rizzoli) spiega che «attitudine non vorrà mai dire atteggiamento, anche se oggi è di moda confondere i due vocaboli: colpa dell’inglese attitude». Secondo Severgnini non si tratta di pedanteria: chi non parla bene «deve sapere che verrà giudicato e classificato, ammirato o deriso». Il linguista però non sembra del tutto d’accordo: «In alcuni casi ripetere parole sentite dire da altri denota superficialità, ma si tratta di parole che fanno pur sempre parte del nostro vivere e non vanno ignorate». Del resto non è possibile impedire il diffondersi di termini scorretti: «In passato si è cercato più volte di regolamentare la lingua, ad esempio bandendo termini stranieri. Ma è inutile: la sua evoluzione è autonoma». Tanto che nell’edizione 2012 il blasonato dizionario Zingarelli registra 1.500 neologismi provenienti da politica, sport ed economia.
Fuori luogo
Ma anche dalla scienza e dalla tecnologia: «Mi è capitato di parlare con un medico del termine fibrillazione, oggi usatissimo per definire uno stato di euforia – spiega Renzi –. Lui mi ha fatto notare che nel gergo medico ha un’accezione tutt’altro che positiva». Anche dalla psicologia, diventata chiacchiera da bar, abbiamo mutuato molti termini: proiettare le nostre ansie sugli altri oppure raccontare il proprio vissuto, ad esempio. Tanti poi i neologismi inglesi in ambito aziendale: skillato, che deriva dalle skill (“competenze”), fino ai tecnicismi usati per indicare concetti banali. Oggi ad esempio in ufficio non si fissa un appuntamento, ma uno slot in agenda: il termine viene dall’aeronautica dove indica il tempo di sosta in aeroporto concesso a ogni aeromobile.
Ma anche no!
È quindi vero che chi parla male pensa male, come sostiene Nanni Moretti in Palombella rossa (1989), dove tuona il suo celebre «le parole sono importanti»? «Non credo. Spesso dietro questo sprezzo c’è un certo snobismo», commenta Renzi. Proprio quello che spinge alcuni a inorridire davanti a termini come barbatrucco, una soluzione geniale che toglie da ogni impiccio, usato nei fumetti dei Barbapapà ed entrato nello Zingarelli già lo scorso anno. Oppure di fronte a un abusatissimo “ma anche no” detto da chi vuole negar loro qualcosa con ironica superiorità. «In fondo sono tutti termini che denotano un uso ludico della lingua, il che è tipico dell’italiano attuale», conclude il linguista. Le parole, del resto, servono anche a questo.