Il primo a parlarne è stato Beppe Severgnini. Il giornalista del Corriere a dicembre ha lanciato il Mailday, il giorno della posta elettronica. In pratica un’iniziativa di sensibilizzazione a un uso consapevole di questo mezzo moderno ma già antico che, nonostante i social network, continua a esserci indispensabile. Almeno sul lavoro. Perché se è vero che – lo spiegava tempo fa lo stesso editorialista – ormai i messaggi di posta sono “roba da vecchi” (per ritrovarsi o passarsi dritte per un esame ai ragazzi bastano Facebook e WhatsApp), le mail sono comunque la quotidianità di chiunque faccia un qualsiasi lavoro da ufficio.
Il Cc: infinito
Ecco allora l’utile galateo stilato da Severgnini che inizia con un destabilizzante «non è necessario rispondere a tutte le mail», il contrario di quanto ci aspetteremmo da un gentleman come lui, passando per un «non è scortese rispondere in modo breve» e per un ironico «non è vietato rileggere le mail prima di premere invio» (parliamo pur sempre del re dei #grammarNazi) fino ad arrivare a un «non è opportuno mettere in copia tutti i famigliari, metà degli amici, un terzo dei colleghi, un decimo della popolazione italiana».
Basta scaricabarile!
Proprio quest’ultimo punto torna oggi attuale, con la notizia battuta qualche giorno fa circa la decisione del board di Ferrari di consigliare ufficialmente (imporre?) ai propri dipendenti maggiore esercizio della parola detta rispetto a quella scritta e spedita da pc. Per incentivare una comunicazione più efficace e diretta è stato infatti deciso dai vertici della casa di Maranello di limitare fortemente il numero delle email inviate: in particolare ogni dipendente Ferrari potrà spedire lo stesso messaggio destinato a colleghi interni all’azienda a solo tre persone. L’invio di mail a pioggia con decine di destinatari per messaggio, magari su argomenti che non li riguardano, sembra essere infatti una delle principali cause di inefficienza nelle aziende di mezzo mondo. Ma non solo, è anche una cattiva abitudine: si chiama scaricabarile o mettere le mani avanti. Come dire: io l’ho fatto sapere a chiunque, ora non mettetemi in mezzo e non ditemi che non vi ho avvisati.
Un’ora su tre buttata via
Bel comportamento, vero? Come sanno bene gli studiosi dei fenomeni digitali troppa informazione indistinta equivale infatti a zero informazione, o quasi. Mandare mail a chiunque è come strillare per i corridoi: infastidisci e non porti a casa nulla. E fai danni, perché il tuo messaggio verrà probabilmente ignorato. E poi non dimentichiamoci che le mail sono una grande fonte di distrazione: alzi la mano chi non si lascia sviare dall’icona saltellante che ci avvisa di un nuovo messaggio, magari del tutto inutile. Un’indagine condotta alcuni anni fa dalla Microsoft aveva calcolato che impieghiamo mediamente dai 15 ai 25 secondi per riprendere la concentrazione persa dopo la lettura di una mail. Tempo che si accumula fino a toccare il tetto del 28 per cento di ore di lavoro che mediamente buttiamo via in distrazioni ogni anno, almeno secondo i dati di uno studio del 2005 condotto da Jonathan Spira della società di consulenze statunitense Basex. Minuti e ore sprecate che per la cronaca significano per l’economia americana, fortemente basata sui distraibili lavoratori della conoscenza, una perdita di 588 miliardi di dollari ogni dodici mesi.
Adesso non posso
Qualche idea per non lasciarsi prendere la mano dal cazzeggio? Porsi obiettivi concreti e magari concedersi un piccolo premio quando li raggiungiamo, suggeriscono gli psicologi. E darsi qualche regola. Come quell’impiegato commerciale di un’azienda italiana con cui ho avuto a che fare tempo fa. A chi gli scrive un messaggio, la sua casella di posta replica (caso unico documentato almeno fino a oggi) con un messaggio automatico: «Per garantire la massima efficienza, rispondo alle email due volte al giorno: alle 13 e alle 17. Se necessitate di assistenza urgente e non potete aspettare, contattate l’ufficio». Un modo di lavorare anacronistico, nell’era del multitasking. Ma forse, almeno in parte, efficace.