Il politico che, di fronte a un’evidente débâcle elettorale, invece di ammettere i suoi errori parla di brogli. La Miss che arrivata seconda manda tutti a quel paese. Saper perdere è un requisito per andare avanti, per costruire un sé più forte. Ma non sempre fa parte del nostro bagaglio di esperienze al lavoro, nello sport e nella vita di tutti i giorni. Eppure è inevitabile: vivere implica la possibilità di sbagliare. Lo testimonia la stessa parola “errore”, etimologicamente simile a “errare”. Come dire: solo restando immobili non si sbaglia. Ma non si va da nessuna parte.
Doping, scorciatoia per non fare sforzi?
Il meccanismo è chiaro nelle attività agonistiche, dove spesso è (anche) l’incapacità di sopportare l’idea della sconfitta a spingere alcuni atleti a rifugiarsi nel doping (nella foto Alex Schwazer, campione olimpico di marcia 50 chilometri a Pechino nel 2008 ora sospeso per assunzione di sostanze dopanti). Lo psicologo dello sport Pietro Trabucchi è uscito a gennaio con il volume Perseverare è umano (Corbaccio) in cui illustra come il proverbio secondo cui errare è umano e perseverare è diabolico sia fuorviante: «Diabolico è rinunciare a impegnarsi, rimanere immobili, mettersi ad aspettare che la motivazione arrivi dall’esterno», scrive.
Che cos’è la resilienza
Al contrario, è la capacità di rialzarsi dopo una sconfitta a dover diventare per tutti una dote umana. Una dote definita dagli psicologi con il termine “resilienza”, in genere assente «nelle persone tendenti al perfezionismo, con scarsa autostima e una limitata fiducia in se stesse», come spiega il formatore Francesco Muzzarelli, docente presso la facoltà di scienze della formazione dell’Università di Bologna. Quali caratteristiche deve avere chi sa rialzarsi dopo una sconfitta, un trauma o un insuccesso? Eccole, secondo quanto spiegano gli psicologi.
1. Il resiliente è convinto che gli eventi, almeno in parte, siano dipendenti da lui e pertanto che ne possa venire a capo mettendo a frutto le risorse personali: cultura, creatività, pazienza, mediazione, ascolto, attesa. Solo così il resiliente si impegna a fondo, attribuendo successi e insuccessi principalmente alla qualità e alla quantità dell’impegno dedicato, e non alla forza degli accadimenti esterni.
2. Il resiliente è un buon incassatore: è dotato cioè di un sistema di aspettative realistico. Sa che il mondo è un luogo dove gli imprevisti e i fallimenti fanno parte del gioco, quindi soffre relativamente poco i disagi e le delusioni. Il risultato? Il resiliente sperimenta un limitato numero di frustrazioni, non perde autostima, rimane lucido, positivo e capace di riprogettare l’azione.
3. Il resiliente sa ristrutturarsi cognitivamente dopo un evento avverso: sa cioè trarre lezioni dalle sconfitte. Ad esempio imparando nuove strategie di adattamento.
4. Il resiliente ha speranza: non dispera perché è convinto che le difficoltà prima o poi passano e che si tratta di una sconfitta locale, legata cioè alla situazione e non a un suo problema irrisolvibile. In questo modo non mette in discussione le sue capacità.
5. Il resiliente è autodisciplinato e organizzato: si dà obiettivi e ha la fermezza di raggiungerli, senza cadere nella tentazione del rimando e dell’approssimazione.
L’articolo completo su Airone, novembre 2012