Mi hai fatto del male? Ti elimino da Facebook. Nel mare delle relazioni virtuali, l’offesa più grave è l’unfriending: la cancellazione dal nostro catalogo di amicizie social. A otto anni dall’inaugurazione del portale di Mark Zuckerberg (nella foto una scena del film The Social Network, 2010), internet si sta popolando di emozioni: «Come nella vita reale tolgo il saluto, su Facebook tolgo l’amicizia», spiega Nicoletta Vittadini del Centro di ricerche sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica di Milano. Tanto che, a volte, l’unfriending diventa una modalità di vendetta. Secondo Frank Webster, sociologo alla City University di Londra, il fenomeno è negativo ma non sorprende: il 38 per cento dei Britannici – così emerge da un suo recente studio – ha utilizzato i social almeno una volta in questo modo. E non è certo l’unica modalità per vendicare un torto. Commenti pubblici negativi e foto imbarazzanti in alcuni casi hanno portato a fatti criminali, anche a casa nostra: due anni fa, a Palermo, quattro ragazzi hanno scatenato una rissa per vendicare uno “sgarro” online. Tanto che è nato Unfriend finder, il software lanciato da un programmatore americano per scoprire chi ci odia online.
Un fenomeno comunque ben noto ai sociologi dei media, quello dell’ansia da cancellazione. Alcuni mesi fa infatti Jennifer L. Bevan, Jeanette Pfyl e Brett Barclay della Chapman University, in California, hanno pubblicato uno studio dal titolo emblematico: Risposte cognitive ed emotive negative all’unfriending su Facebook. «Un uso intenso del social network – hanno spiegato i ricercatori – può produrre un forte investimento emotivo. Ecco perché essere eliminati crea risentimento: ne va della propria reputazione». Vittadini non sembra però leggere il fenomeno come allarmante: «Notiamo un continuum tra reale e virtuale. Chi si toglie l’amicizia su Facebook probabilmente non avrà più rapporti nemmeno nella vita reale», spiega.
Da un annetto gli esperti del Centro studi della Cattolica si stanno ritrovando intorno a un tavolo con i colleghi delle università di Bergamo, di Bologna, della Calabria e di Urbino, coordinati da Giovanni Boccia Artieri di quest’ultima università, per analizzare il fenomeno per la prima volta da un’ottica nazionale: «Le dinamiche emotive degli italiani sui social – spiega Boccia Artieri – sono tendenzialmente le stesse vissute nel resto del mondo occidentale, almeno per chi ha meno di cinquant’anni L’ipotesi è che col tempo questa nuova modalità di comunicare modificherà le nostre strutture cognitive, come hanno fatto in passato altri mezzi di comunicazione dalla scrittura al telefono». Ma anche quelle affettive: «Nella ricerca parliamo di flaming e di dating – spiega Boccia Artieri – cioè la facile tendenza all’aggressività o all’infatuazione dell’altro». Ma il sociologo rassicura: niente di veramente grave, nel mondo social le emozioni intense sono accettate, l’importante è mantenere l’equilibrio con la realtà. In fondo stiamo ancora esplorando il mezzo. Magari con difficoltà e, spesso, sbagliando tiro.