L’evoluzione umana non richiede necessariamente migliaia di anni per compiersi: talvolta è visibile (quasi) a occhio nudo. Una prova secondo i biologi di una selezione naturale, nel corso degli ultimi 10mila anni più veloce di un centinaio di volte, ancora in corso. «L’insorgenza di mutazioni spontanee nel nostro genoma – spiega David Caramelli, professore associato di antropologia all’Università di Firenze – è quel meccanismo che fa sì che si accumuli la variabilità genetica alla base dei meccanismi evolutivi. Mutazioni che possono comportare vantaggi o svantaggi a seconda dell’ambiente in cui si vengono a creare». Determinando così la sopravvivenza (o l’estinzione) di ogni specie.
Tra le più evidenti prove dell’evoluzione tutt’ora in corso ci sono le cosiddette vestigia (dal latino vestigium, impronta): caratteristiche o parti del corpo umano che non servono più a nulla ma che sono discendenti atrofizzate di funzioni o organi utili durante gli stadi precedenti della nostra evoluzione. Un esempio? I denti del giudizio. I molari che occupano l’ultima e più interna posizione nell’arco dentale (definiti sapientiae, “della sapienza”, in latino) nell’uomo moderno crescono solo tra i 12 e i 24 anni ma stanno progressivamente scomparendo. I motivi? «I denti del giudizio erano utili quando ci nutrivamo di alimenti duri e non avevamo strumentazioni adatte per poter ridurre in bocconi quello che mangiavamo», spiega Caramelli. Stesso discorso per l’appendice, l’ultima parte dell’intestino crasso (o colon): nei vertebrati erbivori esiste un tratto dell’apparato digerente analogo, ma più grande, utile a digerire vegetali. Secondo i biologi la nostra appendice altro non sarebbe che quanto rimane di una struttura simile, fondamentale quando la nostra dieta era in gran parte vegetariana.
La nostra colonna vertebrale, poi, è costituita da vertebre in grado di renderla flessibile. Le ultime in basso, quelle sacro-coccigee, sono però fuse tra loro: in pratica una forma di atrofia prodotta dalla loro perdita di funzione. Siamo di fronte, anche in questo caso, a una vestigia. L’ultima parte del coccige, una piccola protuberanza che possiamo sentire toccando la fine della colonna all’altezza delle natiche, forma una piccola sporgenza. Di che si tratta? È quanto rimane della coda dei nostri progenitori, impiegata per controllare l’equilibrio e come strumento di comunicazione tra simili. Alcune persone hanno un coccige particolarmente sviluppato, una sorta di piccola coda, quasi come se l’evoluzione con loro avesse fatto un passo indietro: siamo di fronte a un fenomeno di atavismo, il ripresentarsi cioè di parti del corpo complete, oggi estinte.
Ma che l’evoluzione sia ancora in corso lo capiamo anche dalle abitudini moderne. Pensateci: nessun animale adulto beve il latte. Solo noi lo facciamo oltre lo svezzamento, preferendo quello animale a quello umano. Per questo digerirlo richiede uno specifico assetto genetico che normalmente non è presente negli individui adulti. Tuttavia quando l’uomo iniziò ad addomesticare mucche, pecore e capre essere in grado di assumere latte si dimostrò un vantaggio. Così chi era dotato di una specifica mutazione genetica in grado di favorirne l’assimilazione aveva più possibilità di sopravvivenza.
L’articolo completo su Airone, agosto 2012