Chiunque venda qualcosa, che sia un prodotto, una trasmissione televisiva o un progetto politico, ha necessità di conoscere cosa pensano i possibili acquirenti, i telespettatori, gli elettori. Così se per testare il gradimento di un nuovo yogurt o di una nuova automobile si organizzano i focus group, riunioni presiedute da un esperto di comunicazione o da uno psicologo in cui si raccolgono secondo criteri statistici le valutazioni di utenti scelti a caso, in politica sono i sondaggisti a tenere il polso dell’elettorato. E spesso a influire sulle scelte di comunicazione dei leader di partito.
«Tra politica e marketing», mi ha spiegato Renato Mannheimer, «esiste una sovrapposizione: ormai da decenni si parla di marketing politico, una disciplina che cerca di studiare le preferenze dell’elettorato per indirizzare le scelte dei partiti in fatto di comunicazione e look. In Italia è una disciplina tradizionalmente rifiutata, mentre nei Paesi anglosassoni è seguita scrupolosamente. Il sondaggio tuttavia dovrebbe essere utilizzato solo come uno strumento conoscitivo che, unito alle convinzioni ideologiche di ognuno, aiuti la politica a formare le strategie più opportune». Non quindi per scegliere le opinioni da sostenere in base alla convenienza del momento.
Mai come in questo periodo insomma l’opinione pubblica è interessata al giudizio degli altri (e al proprio). I sondaggi, non solo politici, stanno riscuotendo sempre maggiore successo: «È l’insicurezza che viviamo a spingerci a cercare punti di riferimento attendibili», conclude Mannheimer.