Il fast food è un luogo magico. Un mondo fatto di colori e sapori intensi, ma anche di avventure metropolitane e incontri inaspettati. Come quello che hanno fatto recentemente gli avventori del McDonald’s del quartiere Hamm, ad Amburgo, che si sono imbattuti in un coppietta intenta a girare un film a luci rosse proprio sui tavolini del popolare ristorante degli archi d’oro. Una ragazza di 21 anni, Taiha, ha raccontato al Bild: «Stavamo bevendo un caffè e abbiamo visto una donna con il vibratore in mano, mentre si denudava. Un uomo la filmava con la videocamera». Ma non c’è solo questo. Da moda filoamericana, il fast food è diventato ormai quotidianità anche per gli italiani. In poco più di sessant’anni quello del “cibo veloce” è diventato un fenomeno planetario grazie a una filosofia imprenditoriale semplice e riconducibile alla rapidità del servizio, alla pulizia dei locali e a un prezzo contenuto. I clienti non mancano mai: basta pensare che ogni giorno a circa 40 milioni di persone di ogni nazione, razza e religione mangiano gli hamburger, le patatine e i milk shake di McDonald’s. Che solo in Italia serve ogni giorno più di 380mila panini a 650mila clienti nei suoi 411 ristoranti sparsi su 19 regioni, generando un fatturato che nel 2010 si aggirava attorno ai 900 milioni di euro. Si calcola che in venticinque anni di attività nel nostro Paese (il primo locale aperto fu nel 1985 a Bolzano) la catena degli archi d’oro ha servito circa 2 miliardi di pasti. Sviluppare numeri così imponenti richiede ai fast food, come suggerisce il nome stesso, tempi serratissimi. Naturalmente occorre un’organizzazione ben rodata: «La formula è studiata nei particolari per soddisfare il bisogno del cliente di essere servito rapidamente spendendo il minimo e con garanzie di igiene», spiega Raffaele Cercola, docente di economia e gestione delle imprese presso la Seconda università di Napoli. Il segreto è nella standardizzazione che regola ogni particolare, dal menù all’immagine del locale, ripetuta con precisione in ogni ristorante. Così per esempio per il celebre BigMac in tutti i ristoranti del mondo si usa lo stesso pane e una polpetta di carne con lo stesso peso e contenuto di grassi. Anche i tempi di cottura e preparazione sono stabili: 40 secondi per cuocere la carne, 10 per fare il panino. E se i prodotti preparati non sono venduti nei tempi stabiliti vengono buttati: le patatine hanno 7 minuti prima che scatti il timer, gli hamburger possono restare sull’espositore 10 minuti. Accanto ai panini appena fatti vengono messi infatti dei numeri dall’1 al 12 che corrispondono a un orologio tarato per segnalare i tempi di scadenza.
L’articolo completo su Airone, settembre 2011