Amici che valgono

Più di 500 milioni di utenti in tutto il mondo di cui la metà si collega almeno una volta al giorno. Ognuno con mediamente 130 “amici”. Tutti, nel complesso, restano collegati per 700 miliardi di minuti al mese. I numeri di Facebook sono impressionanti: il primo, il più celebre e il più quotato dei social network, fondato nel 2004 dall’allora diciannovenne studente di Harvard Mark Zuckerberg, conduce una classifica fatta di importanti attori. Assieme a Facebook, infatti, troneggiano nell’olimpo delle reti sociali nomi come LinkedIn, Twitter, MySpace, FriendFeed, Orkut, Bebo e una miriade di altri meno noti. Quello dei social network è un meccanismo semplice e soprattutto gratuito per gli utenti, che sono in costante aumento: oltre agli iscritti di Facebook saltano all’occhio i quasi 70 milioni di utenti LinkedIn, il network nato dall’intuizione di Reid Hoffman e pensato come versione seria e professionale del “giocattolino” di Zuckerberg. Numeri importanti a cui tuttavia non corrispondono fatturati così ingenti da giustificare il boom di quotazione di queste new company sui mercati finanziari mondiali. C’è già infatti chi parla di una nuova bolla speculativa: alcuni analisti di Wall Street affermano che grandi banche di investimento come Morgan Stanley e Bank of America avrebbero sottostimato di proposito il prezzo iniziale di titoli come quello di LinkedIn per speculare sulla loro ascesa fulminante. Stefano Pace, assistant professor presso il dipartimento di marketing dell’università Bocconi di Milano, cerca di spiegare il fenomeno: «Parte preponderante del valore di questi colossi è potenziale, ossia prevede gli sviluppi che i social network avranno quando emergerà un vero e proprio nuovo modello di business. Questo spiega perché fondatori di social network come Zuckerberg siano oggi molto ricchi: oltre ai notevoli ricavi effettivi, derivati dalla pubblicità e dalla sottoscrizione ai servizi a pagamento, alcuni social network attualizzano un valore che si sta realizzando, di cui si è certi senza avere ancora un quadro completo». Ma non c’è solo questo. Un secondo motivo sta nelle caratteristiche proprie dell’economia del web: un social network di grandi dimensioni, come Facebook, tende a ingrandirsi a dismisura a scapito di uno piccolo che tende a ridursi sempre più. Questo ovviamente fa sì che solo pochi attori controllino una buona parte del mercato e quindi del suo valore complessivo. «Una terza motivazione – aggiunge Pace – sta nella vitalità, negli Usa, del sistema di venture capital, ovvero la tendenza della finanza americana a investire cifre notevoli in imprese promettenti ma non ancora completamente affermate, in previsione di sviluppi futuri». Quel che conta però è come questo valore si genera. «Il valore di questi portali non è creato solo dall’impresa ma anche, in misura rilevante, dall’utente. L’impresa che gestisce un social network in fondo si limita a mettere a disposizione una piattaforma che è poi l’utente a riempire con la sua attività e, letteralmente, la sua faccia».

L’articolo completo su Airone, luglio 2011

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